L'etnica e quello che ne consegue. Una delle cose più affascinanti ascoltate in questo 2014
“Fiume Nero” è una delle cose più affascinanti ascoltate in questo 2014, tanto per dare una coordinata di comodo. Un lavoro articolato che necessiterebbe di una mappa per spiegarlo. E potremmo pure partire da un luogo in particolare, citato nella press release di questa silloge di brani del compositore pugliese (già usciti in precedenza su cd-r e cassetta): trattasi della musica di Shackleton e delle sue elaborazioni di loop etnici (in particolare direi versante percussivo). La coordinata rischia però di portarci fuori strada perché Donato Epiro lavora su stratificazioni più complesse, meno in evidenza dal punto di vista del mixaggio e frutto di un'osservazione del materiale di partenza in senso fortemente noise/industrial. Come già sembra prefigurare la copertina del disco, più che di osservazioni demoetnoantropologiche alla Lomax, insomma, si tratterebbe piuttosto di reperti se non addirittura scarti che il musicista inserisce in ossessive reiterazioni bagnate di riverberi e distorsioni che poco hanno a che vedere con il senso di vuoto e di pulizia del britannico in questione.
Non solo: laddove con Shackleton si tende fondamentalmente verso l'equazione etnico = Africa, con Donato invece le cose appaiono più complicate: se già infatti gli scampanii della programmatica title track potrebbero tranquillamente avere una provenienza (diciamo genericamente) asiatica (similmente a quanto accade in “Naja Nigricollis” e “Tucano” con strutture ripetitive basate su schegge di percussioni, sitar e strumenti a fiato versante India), non mi meraviglierei se mi si dicesse invece che quelli di “Estuario” non fossero sudamericani come il titolo vorrebbe suggerire (l'Amazzonia, con il suo inestricabile ordito di uomini, piante e animali è un'altra immagine evocata da questo compostissimo blob sonoro) ma piuttosto appartenenti a qualche rito folklorico del Sud Italia. Donato insomma gioca allo spiazzamento, a fare della schizofonia di cui ci parla Murray Schafer un motivo di scrittura e di estetica.
Gioca (serissimo?) con un'idea di alterità umana che par essere allo stesso tempo figlia di un glocalismo di difficile digestione (l'elemento etnico delle sue composizioni) così come di del paventato imbarbarimento tecnologico (gli effetti e le distorsioni applicati ai layer sonori) che ci aspetterebbe alla fine di questi anni di mutazioni socio-antropologiche. Nel farlo ci mette fra le mani un disco che sa a sua volta di studiatamente involontario reperto sonoro, di anonima produzione da library music (sulle tracce tanto dei mondo movies così come di personaggi intriganti come il recentemente ristampato Fabio Fabor), di opera di qualche oscuro compositore della musique concrète. Un cadavere squisito per i pasti nudi che ci attendono.
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La recensione Fiume Nero di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-05-07 00:00:00
COMMENTI (2)
bella, bellissima storia...
Gran disco!