Come suonare grande musica in Italia senza far fuori la Storia, ma anzi facendola propria
Sette canzoni romanesche della tradizione, quasi tutte risalenti allo spazio-tempo tra le due guerre (a esclusione di "Vecchia Roma" del 1947): così ritornano gli Ardecore, arrivati al quarto album, a riallacciarsi al primo lavoro omonimo, uscito nel 2005 e a lungo irripetuto baluardo di come fosse ancora possibile suonare grande musica in Italia e registrarla senza far fuori la Storia, facendola invece propria, radicandola una seconda volta nella modernità.
Non esiste uno scarto evidente tra i due album, a parte quella leggera sensazione che l'ascoltatore ha ascoltando questo "Vecchia Roma", cioè quella di trovarsi di fronte a un epilogo, alla paradossale chiusura di un capitolo che il disco del 2005 aveva spalancato.
Gianpaolo Felici, Geoff Farina e gli Zu, nucleo originario che decise di dare vita all'ambizioso progetto, continuano a ripiantare nel presente il mondo perduto e un perduto lessico delle relazioni, dell'amore soprattutto, ma pure degli affetti familiari e, più in generale, del dolore.
Gli arrangiamenti di queste canzoni ricordano quelli dell'America degli anni '50 e '60, più specificamente quelli di un Elvis Presley ancora lontano dal suo tossico splendore, re dei 45 giri sì erotici ma pure, soprattutto, languidissimi. È infatti nelle serenate che gli Ardecore sembrano splendere e nuovamente sorprendere, sia "Serenatella amara" che la chiusa del disco con "Serenata sincera" riescono a definire ancora una volta e in modo assoluto l'enormità del lavoro che negli anni la band ha messo a punto. Ma soprattutto è con "Serenata a Maria" che tutto, nel disco, sembra mettersi a fuoco creando una stretta connessione tra tutti i dischi della band, a partire da "Chimera", del 2007, vincitore della Targa Tenco, come Migliore opera prima.
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La recensione Vecchia Roma di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-04-08 09:00:00
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