Un album musicalmente più rotondo rispetto al passato di una band affascinante come sempre.
Facendo un rapido calcolo i Valentina Dorme mancavano dalle scene da 6 anni, un periodo di tempo che, a livello discografico, corrisponde quasi a un'era geologica. Ok, magari non è il caso di esagerare, però di certo stiamo parlando di una di quelle band che durante gli ultimi anni ha centellinato le uscite, soprattutto dal 2000 in poi. Non sappiamo dire - né interessa in questa sede indagare - il perché di tale assenza, ma apprezziamo la scelta di riemergere solo quando si ha davvero qualcosa da dire. E sì che la band, grazie anche alle parole di Mario Pigozzo Favero, ha sempre saputo dire le cose in una maniera mai banale e sempre con un piglio personale. E non lo scopro certo io oggi, ma è sempre bene ribadirlo, perché spesso capita di dimenticarle certe "cose".
Un'opera dei VD ha una sua importanza intrinseca, per la storia che i ragazzi si portano dietro e per le canzoni scritte sino ad oggi. Non fa eccezione "La estinzione naturale di tutte le cose", decimo capitolo (demo compresi) della storia di cui sopra, che vede impegnato Ivan A. Rossi (Bad Love Experience) alla co-produzione e la rinnovata collaborazione con Fabio De Min (Non Voglio che Clara). Il risultato è un album musicalmente più rotondo, non foss'altro che su diversi episodi gli arrangiamenti di fiati e archi ("Cronaca sportiva minore", "Una Giulietta qualsiasi", "Shangai") assumono un peso specifico maggiore rispetto al resto. Non aspettatevi però una metamorfosi sorprendente, la cifra tipica del quartetto continua a intravedersi in maniera chiara e limpida. Basti solo la doppietta iniziale ("A colpi d'ascia" e "Ricordi cagna?") per coglierla appieno e riassaporarla.
Sensazione identica che si prova ascoltando "Le linee transatlantiche", fra le canzoni meglio riuscite, caratterizzata da un crescendo che nel finale esplode in un vortice di chitarre mentre Mario declama "Esistessero ancora le linee transatlantiche / ti porterei con me a New York / usando la nave / e tutte le mie forze e la volontà / di farti divertire / con le mie corde per il bordate / con i miei libri di Laila / a ritardare un ritorno eventuale / o un eventuale dolore". La successiva "Waterloo" (senza contare l'intermezzo strumentale di "Carrarmati") segue più o meno lo stesso schema con un affascinante passaggio iniziale di strumenti a fiato e, soprattutto, un'interpretazione che avvicina Mario allo stile di Federico Fiumani, anche nel testo ("Stasera si mangia cinese / e questo è il migliore cinese in città / vengono sempre intere famiglie / e mezza Pechino non può certo sbagliare / e io stanotte ti succhio la fica / fino a farti svenire / fino all'alba e più in là / il culo trema intorno alle dita / si spalanca si nega / e finalmente si dà"), dove il connubio musica&parole scatena immagini che pochi altri sanno rendere con tale forza.
Insomma, è il solito album densissimo che ti aspetti da questa band. E lo si percepisce fin dal primissimo ascolto, nonostante la scelta di affidarsi all'orecchio di Ivan A. Rossi inizialmente destabilizza. Bisogna lasciarle scorrere queste 12 tracce, entrare mano a mano in ogni singola canzone per poterne assimilare la poetica. Uno sforzo tanto necessario quanto indispensabile.
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La recensione La estinzione naturale di tutte le cose di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-07-27 09:00:00
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