Peter Truffa Art School 2015 - Ska, Reggae, Ritmi

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Stile, suono e umiltà: il pregevole esordio solista di uno dei migliori tastieristi ska-reggae del mondo

Tecnicamente Peter Truffa non è italiano, anche se come si può intuire dal nome, qualche radice nel nostro Paese ce l'ha eccome. Radici che sono cresciute e sono diventate solide quando Peter ha cominciato a collaborare stabilmente con formazioni italiane, i Bluebeaters prima e ora i Sabaudians.

Ma il background musicale è newyorkese (e come potrebbe essere altrimenti, essendo lo Ska-Jazz Ensemble che dalla Grande Mela prende il nome una delle esperienze più rilevanti che hanno visto coinvolto il tastierista italoamericano?), e lo si sente chiaramente in questo disco d'esordio. In cui Peter propende per un rocksteady screziato di reggae e di soul, minimale ma curato al dettaglio, sulla scia di un'altra fenomenale formazione from NYC, gli Slackers del collega Vic Ruggiero.

Così dunque prende forma la scaletta di questo "Art school", composto quasi esclusivamente da riarrangiamenti in levare di brani noti: da "The river" di Springsteen, con un mood intimo e quasi gospel, alla cadenzata "The limit to your love" (il brano originale è di Feist), in cui Truffa si dimostra anche un ottimo cantante, fino allo skinhead reggae di "Tighten up", forse il pezzo migliore del lotto: una bella rinfrescata all'inconfondibile atmosfera Trojan.

A queste si aggiungono "Somebody has stolen my girl", classicone ska che di questi tempi è stato (ri)ripreso anche dalla ex-band di Peter, i Bluebeaters, e "Art school", indimenticabile brano dei Jam che in questa versione ska-oi-rock'n'roll molto sbarazzina si ascolta e si balla con piacere.

Unico piccolo neo del disco è l'ultimo brano, "So natural", che abbandona il levare per una veste etno-acustica, imperniata sulla voce e sul violoncello di Bea Zanin, ma che risente di un arrangiamento sostanzialmente senza grandi picchi e soprattutto dell'eccessiva durata. Spiace soprattutto perché è l'unico originale dei sei brani.

Comunque, non è certo un pezzo un po' lunghetto e diverso dagli altri che può far cambiare il giudizio su un esordio per il resto di valore, che brilla per il lavoro sul suono, a tutti i livelli, sugli arrangiamenti e sulle voci e - cosa più importante di tutte - trasuda, oltre che stile, umiltà: non è un caso che, nel primo disco solista di uno dei migliori tastieristi del mondo in ambito ska-reggae, non ci sia nemmeno un suo assolo. O forse ce n'è uno, ma insomma, poco cambia: il concetto si è capito.

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La recensione Art School di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-07-11 09:00:00

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