Il breviario della musica nera dei Black Beat Movement: il salto di qualità che ci si aspettava dal sestetto milanese.
Ho sempre immaginato il terzo album di un artista come un punto della sua carriera particolarmente importante o quantomeno come una chiave di lettura utile a comprenderne i tratti fondamentali. Certo, ai The Postal Service è bastato un solo lp per sbarazzarsi in fretta e furia di pseudo-teorie come questa, ma torniamo coi piedi per terra e facciamo riferimento a quei gruppi che ci raccontano, disco dopo disco, la propria evoluzione. I Black Beat Movement quest’ipotetica ‘fase del terzo album’ l’hanno superata in modo più che soddisfacente.
Se con l’ep d’esordio palesavano il grande amore per la black music e con “Id-Leaks” ricercavano un’identità fluida e difficile da etichettare, è con il nuovo “Love Manifesto” che il sestetto milanese affronta in modo sistematico l’argomento, declinando il genere nella sua quasi totalità. Come il principio dei vasi comunicanti, “Love Manifesto” fa confluire le diverse accezioni della musica nera in una serie di contenitori diversi, ma pur sempre strettamente connessi tra loro. In “Intoxicated” – probabilmente il miglior pezzo dell’album – ci si trovano delle influenze alla D’Angelo; “A New Down” gioca tra nu-soul e downtempo; “The Plot” è sul binario del pop/hip hop tra slap, parti scratchate e la melodia del ritornello; il piano di “Home” ci porta lentamente verso il jazz e così via. A tenere saldamente le redini del disco ed evitare che ogni traccia segua un percorso isolato è ancora una volta la voce di Naima Faraò: è la costante a cui affidarsi, l’elemento che accomuna e che si adatta in base alle esigenze senza perdere di vista la meta.
Con questo breviario della black music i BBM hanno fatto il passo avanti che ci si aspettava, aprendo verso nuovi e interessanti scenari dove la contaminazione regna sovrana. “Effetto collaterale”, l’unico pezzo quasi tutto in italiano con la parte rappata da Musteeno, è l’esempio di quanto la band ami mettersi alla prova con nuove sfide e nuove identità, ma ci ricorda che alcune parti da limare ci sono ancora: in alcuni punti il disco sembra perdere leggermente la verve iniziale così come la presenza di qualche parte corposa di basso in più non guasterebbe affatto. In ogni caso sono aspetti che non rovinano certo il buon lavoro realizzato con quest’album. Concludo con un’idea personale che mi ha tormentato (positivamente) durante tutto l’ascolto di "Love Manifesto": quanto ci starebbe bene una seabord in un contesto come questo?
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La recensione LOVE MANIFESTO di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-01-27 10:00:00
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