Canzoni meticce figlie del rock sudista, del country e del rockabilly. Un esordio felice per i Mongrel State
Contaminazione cruda di rock'n'roll e alt-country, il primo disco completo dei Mongrel State che s'intitola "Mestizo" (ovvero "meticcio") ha un suono che raramente si sente in Italia. Questa band di quattro elementi è un vero e proprio ibrido di razze e provenienze: Italia, Spagna, Irlanda e Argentina sono le nazioni mescolate nell'identità e nella musica dei Mongrel State, da queste, nasce un album pieno di suggestioni molto vicine al rock di matrice sud-est americana, costruito sulle chitarre e sulle immagini desertiche.
Non semplice rockabilly, non banali ritmiche country, niente è in puro stile in questo disco, tutto assume connotati indistinti e i confini tra i generi sono labili al punto da scomparire, rimane solo il grande impatto fin dal primo ascolto. La prima traccia "Monster" chiarisce che il rock sarà il campo di battaglia nel quale si aggroviglieranno tutti i restanti nove brani a seguire, figli meticci con gli arti di una tromba, lo stomaco di una chitarra elettrica, i piedi da grancassa e la faccia metà pianoforte metà banjo, dei mostri sì, ma che suonano da dio.
Il singolo "How many more times" inizia come un tranquillo brano da acchiappo, con le chitarre acustiche spianate tipo Pan del Diavolo, e la voce che si sdoppia classicamente country, ma con l'andare del pezzo arrivano in sequenza il banjo e l'hand-clapping che portano alla danza istantanea, sono le rasoiate di chitarra elettrica e il piano a trasformare tutto in una festa musicale in cui stare fermi è impossibile, stile indefinito ma godibile, paragonabile a certi brani degli Zutons, rock espanso.
"Mestizo" è anche un disco di canzoni con l'attacco diretto come "Ten step ahead", "Stray dogs" e "Dirty trick", pezzi un po' meno contaminati ma arruolabili nelle fila della musica da body-shake. Diversa storia invece per "Quero volver" in cui la tromba apre nella mente voragini che si vanno a colmare con le palate di riff blues stratificati di "Zombies on the highway" in cui echi di Jack White si perdono tra nebbie densissime, poi la conclusiva "Rainy day", nelle quali langue una vocalità soft che accomagna uno slide iper-riverberato e il disco si chiude con una vena malinconica che chiude la gola.
La mescolanza di generi mai come in questo caso fa da fondamenta per le varie diramazioni dell'albero rock-blues: "Mestizo" è un disco capace di tenere incollati anche i non appassionati del country proprio per la sua capacità di mutare la pelle all'interno anche di uno stesso brano. Un esordio felice.
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La recensione Mestizo di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-06-22 10:00:00
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