Il dub meticcio degli Almamegretta gode di ottima salute, e la formazione originale della band napoletana ce lo dimostra con un ritorno che supera le aspettative
Gli Almamegretta sono tornati. Certo, non se ne erano mai davvero andati, ma anche Raiz è tornato a bordo in pianta stabile già negli ultimi tour e nell’ultimo album in studio, “Controra”, che aveva accompagnato la loro partecipazione a Sanremo ma che non aveva convinto tutti. Forse era necessario un periodo di rodaggio; ma adesso, asciugata la formazione al nucleo originario Raiz-Pablo-Gennaro T. (ma accompagnati da uno stuolo di ospiti fra amici vecchi e nuovi, da Lucariello e Carlo d’Angiò a Paolo Baldini e Adriano Viterbini), riportato a bordo anche il mago della consolle Adrian Sherwood, padre del suono della On-U Sound Records e della pietra miliare “Sanacore”, il nuovo lavoro “EnneEnne” suona più Almamegretta che mai; l’esclusione sociale affrontata su un tappeto a metà tra l’afrobeat e i Napoli Centrale di James Senese nel singolo “O’ssaje comm’è”, il rarefatto dub anglo-napoletano dell’opener “On the Run”, la voce e il mandolino a cantare trascinanti in “Scatulune” (prossimo singolo?), restituiscono l’immagine di un gruppo in forma, efficace nella scrittura e vestito di un suono formidabile. Un gruppo che affronta e vince il confronto con la storia: con quella del folklore musicale napoletano, sfidando provocatoriamente la tradizione insieme a Carlo D’Angiò (pioniere negli anni ‘70 con la Nuova Compagnia di Canto Popolare) nella tammorriata dub “Musica popolare”, e con quella della canzone napoletana moderna, nella riproposizione di “Ciucculatina d’a ferrovia” di Nino D’Angelo in un’inedita chiave reggae (ma neanche tanto inedita, considerando che D’Angelo con “O’ spiniello” nel 1982 è il primo a coniugare la neomelodia partenopea con i ritmi in levare, insospettabile precursore di una buona fetta della musica napoletana degli anni ‘90). In “Curre core” Raiz e compagni giocano con la loro di storia, e terminano un lavoro di scrittura che avevano interrotto più di venti anni fa quando per “Karmacoma (The Napoli Trip)” avevano regalato ai Massive Attack quel ritornello ormai celebre, che qui appoggiano su un pianoforte solenne e incastonano in un gioiello che ha poco da invidiare allo storico featuring.
Intrappolati nel passato? Quando è così ingombrante è difficile nasconderlo sotto al tappeto (sarebbe poi giusto?); comunque uno dei pezzi più validi del disco, la blues ballad dubbeggiante “La gente”, la hanno scritta con il giovane producer e loro sessionman Danilo Turco, segno che almeno un occhio puntato sul tempo presente questo lavoro ce l’ha.
C’è qualche momento più fiacco, soprattutto nella seconda parte del disco: “Gimmeurlove” si rilassa su toni da musica leggera che un poco stonano con il resto, “Votta a passà”, nata da un incontro con i ragazzi del carcere di Nisida, nel complesso non convince a pieno nonostante sia il testo recitato da Cristina Donadio che il tappeto strumentale di per sé funzionino. In fin dei conti, aspettarsi da un album degli Almamegretta, nel 2016, la stessa forza incendiaria di un “Sanacore” o di un “Lingo” sarebbe irragionevole e probabilmente anche sbagliato. Quello che da un album numero 12 di una band con una personalità così marcata si può legittimamente pretendere è che mantenga lo spirito, l’idea, la particolare visione della musica e del mondo che vibrava nei lavori che sono passati alla storia. “EnneEnne”, più di altri dischi degli Almamegretta e più delle ultime fatiche di parecchie formazioni a loro coeve, mantiene queste non semplici aspettative; l’estetica sonora e i versi delle dieci tracce sono intrisi della filosofia che ha caratterizzato il gruppo più di ogni altra cosa, quella dell’incontro/scontro fra sonorità e lingue diverse come riflesso dell’incontro/scontro dialettico fra popoli, culture, tradizioni, generazioni diverse; ne sono intrisi senza puzzare di stantio perchè quella mentalità, al di là di cliché e sentimentalismi, è in un certo senso il retaggio storico, culturale e musicale di un Sud che gli Almamegretta hanno saputo cantare come pochi, perché lo hanno cantato senza guardare sul pavimento del cortile di casa ma al di là del mare che delimita quelle terre. Un meridione essenzialmente bastardo e mezzosangue, come nel titolo di questo disco, “EnneEnne”: nescio nomen, nome sconosciuto.
Intrappolati nel passato? Quando è così ingombrante è difficile nasconderlo sotto al tappeto (sarebbe poi giusto?); comunque uno dei pezzi più validi del disco, la blues ballad dubbeggiante “La gente”, la hanno scritta con il giovane producer e loro sessionman Danilo Turco, segno che almeno un occhio puntato sul tempo presente questo lavoro ce l’ha.
C’è qualche momento più fiacco, soprattutto nella seconda parte del disco: “Gimmeurlove” si rilassa su toni da musica leggera che un poco stonano con il resto, “Votta a passà”, nata da un incontro con i ragazzi del carcere di Nisida, nel complesso non convince a pieno nonostante sia il testo recitato da Cristina Donadio che il tappeto strumentale di per sé funzionino. In fin dei conti, aspettarsi da un album degli Almamegretta, nel 2016, la stessa forza incendiaria di un “Sanacore” o di un “Lingo” sarebbe irragionevole e probabilmente anche sbagliato. Quello che da un album numero 12 di una band con una personalità così marcata si può legittimamente pretendere è che mantenga lo spirito, l’idea, la particolare visione della musica e del mondo che vibrava nei lavori che sono passati alla storia. “EnneEnne”, più di altri dischi degli Almamegretta e più delle ultime fatiche di parecchie formazioni a loro coeve, mantiene queste non semplici aspettative; l’estetica sonora e i versi delle dieci tracce sono intrisi della filosofia che ha caratterizzato il gruppo più di ogni altra cosa, quella dell’incontro/scontro fra sonorità e lingue diverse come riflesso dell’incontro/scontro dialettico fra popoli, culture, tradizioni, generazioni diverse; ne sono intrisi senza puzzare di stantio perchè quella mentalità, al di là di cliché e sentimentalismi, è in un certo senso il retaggio storico, culturale e musicale di un Sud che gli Almamegretta hanno saputo cantare come pochi, perché lo hanno cantato senza guardare sul pavimento del cortile di casa ma al di là del mare che delimita quelle terre. Un meridione essenzialmente bastardo e mezzosangue, come nel titolo di questo disco, “EnneEnne”: nescio nomen, nome sconosciuto.
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La recensione EnnEnne di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-05-30 10:00:00
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