Uno split condiviso da Phill Reynolds e il cantautore americano Matthew Paul Butler: 8 belle canzoni che confermano ancora una volta come il confronto con l'estero regga
Molto spesso quando ci troviamo a parlare di Phill Reynolds, sottolineiamo le sue origini musicali del tutto americane (e la fortuna che abbia ad averlo qui, da questa parte dell'oceano) e di quanto sia difficile parlare dei suoi dischi. Perché? Perché sin dal primo ascolto, la reazione è "E che gli vuoi dire?". Che vuoi dire a questo cantautore dalla voce baritonale, che sa anche innalzarsi quando serve, dal chitarrismo percussivo, che risponde a regole tutte sue eppure così classiche? Che vuoi dire alle sue belle canzoni?
Come se avesse ulteriormente bisogno di dimostrare tutto questo, nel suo girovagare qua e là tra le coste delle Americhe nei suoi (ormai numerosi) tour, ha deciso di misurarsi con uno split condiviso con un suo equivalente ma che lì ci è nato, Matthew Paul Butler. La sfida, quella di darsi un tema, da qui i titoli che si ripetono, e interpretare il folk americano secondo le proprie sfumature.
Dove Reynolds sceglie un arpeggio selvaggio, Butler si affida a un strumming dritto ("Hey kid"), a sua volta ripreso da Reynolds in "Saved", in un continuo scambio di pattern e disegni. Ma le loro anime espressive si incontrano nella scelta della rarefazione languida e sognante per "Hands".
A conti fatti, più che a una sfida, si assiste a uno scambio di idee e di energie, che uniscono idealmente l'Italia e l'America e ribadiscono a gran voce che si può fare, si può mettere il piede di là e far crescere cose bellissime. Il confronto regge e restituisce 8 buone canzoni che speriamo non passino inosservate, in qualunque parte del mondo.
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La recensione Pairs di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2017-04-03 09:00:00
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