"Alcol, schifo e Nostaglia", tre parole che tornano spesso in un disco in grado di riassumere e raccontare benissimo una crisi personale in corso d'opera
"Alcol, schifo e nostalgia" è il secondo lavoro in studio degli abruzzesi Voina, dopo che già nel 2015 si erano conquistati una buona fetta di pubblico e di attenzione critica grazie all'esordio con "Noi non siamo infinito"
Il disco riprende i temi che già avevano caratterizzato il disco precedente, descrivendo la crisi esistenziale tipica vissuta da chi, in questo decennio, ha tra i venti e i trent'anni. La band lancianese lo fa in maniera intima e personale, sottolineando in meniera evidente quelle che sono le costanti, ovvero la perenne incertezza e la paura del futuro visti come una corsa a ostacoli, una montagna da scalare senza mai riuscire a scorgerne la vetta, una mission impossible apparentemente senza via d'uscita che asseconda l'idea diffusa di sentirsi inadatti al mondo contemporaneo e alla società. Il personaggio che ne viene fuori è un'icona del decennio in corso, è un pronipote degli inetti pirandellani, sveviani, kafkiani. I Voina avevano già rilanciato la questione con il singolo che anticipava il disco, l'orecchiabilissima "Io non ho quel non so che", ma si ripetono nel lavoro per lunghi tratti, come ad esempio in "Welfare", pezzo d'apertura carichissimo e veloce in uno stile a metà tra Fask e Ministri. Nel testo troviamo i "lauti stipendi da cameriere", i "concorsi che per fortuna sono tutti truccati", ironici e crudeli riferimenti a una realtà che esclude i meriti e cerca di farci autoconvincere che la colpa è nostra, gli inadatti siamo noi. La band è in grado di affrontare le tematiche più complesse utilizzando parole semplici, frasi dirette che arrivano immediatamente al cervello senza indossare vesti troppo eleganti. Tra i pregi da evidenziare c'è senz'altro quello di esporre la riflessione in maniera personale e imparziale, non buttandola mai in caciara politica.
Nella narrazione del disagio, non può mancare il tema amoroso, presente in diversi brani come ad esempio la bellissima "Ossa", una ballad che nel testo richiama tutto quell'immaginario catastrofico tanto caro a un artista come Vasco Brondi ("io e te siamo come l'oceano indiano e due galassie nel pieno di un collasso e nuvole gonfie d'alcol, chissà se questo cuore tiene, ti prego andiamo a fare schifo insieme e vorrei fare un disastro con te, spaccare questo stupido locale. le nostre ossa che sbattono....il rumore che fanno quando si abbraciano i nostri disturbi mentali, ridiamo mentre ci guardano, le nostre ossa che sbattono").
C'è la voglia di fare schifo quindi, il desiderio di abbandonarsi alla catastrofe, all'universo che crolla intorno a noi, come ne "Il futuro alle spalle" dove l'immaginario accennato poco fa ricorre e insiste ("Ben vengano i disastri, ce li siamo meritati tutti, come queste stragi, questi palazzi che non ti spaventano più. Svegliamoci con calci e pugni per essere certi di stare attenti quando qualcosa ci colpirà. Un asteroide, un terrorista, una tragedia, che differenza fa?") e ancora "E chissà se un giorno poi andremo a sbattere o forse come sempre non avremo il coraggio. La mancanza di coraggio in un ricordo la chiamano rimpianto, io la chiamo nostalgia, quella grandissima stronza". Mi soffermo ancora poche righe su questo pezzo, per sottolineare anche le influenze melodiche e testuali dei concittadini Management del dolore post operatorio che, nel loro recente lavoro "Un incubo stupendo" ricorrono al tema dell'amore attribuendogli una funzione salvifica, come se fosse una cura, una campana di vetro che favorisce l'isolamento dal disastro esterno. I Voina gli fanno eco nel ritornello "Vorrei stringerti e dirti solo che andrà tutto bene e che alla fine andremo via da qua con il futuro alle spalle". Per chiudere non può mancare un accenno a quello che considero uno dei pezzi migliori dell'album, "Il Jazz", un brano in stile e attitudine tipicamente anni '90, a partire dalle note iniziali. Nel testo è presente la ribellione, il rifiuto di cedere alle lusinghe e alle convenzioni dell'età, la maschera di Peter Pan che non vuole proprio cadere dal volto ("E il sabato sera a fare una cena con gli amici ascoltando un disco jazz, ma riesci a pensare a una cosa più triste di noi che iniziamo ad apprezzare il jazz? Quanto fa schifo il jazz")
"Alcol, schifo e Nostaglia", tre parole che tornano spesso in un disco in grado di riassumere e raccontare benissimo una crisi personale in corso d'opera. Un lavoro terapeutico, che spoglia i luoghi comuni dell'attuale situazione sociale e li lascia scheletri, immobili, fuori dagli armadi e con tutta la loro debole consistenza.
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La recensione Alcol, Schifo e Nostalgia di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2017-03-27 09:00:00
COMMENTI (2)
Trovo molto belli i testi e non solo, trovo che scorrano benissimo, trovo che le metriche siano straordinariamente a servizio dei contenuto.
Questo supplisce quello che credo sia invece il punto debole della band: l'attitudine musicale che mi sembra banale, certamente non all'altezza delle liriche.
Eppure queste sono così belle e ben messe da elevare l'intero disco.
Credo che ciò sarà percepibile anche a chi tra i fruitori di musica solitamente non da importanza alle parole.
Queste parole sono così comunicative da prendersi tutta l'attenzione.
Credo davvero che chi le ha scritte potrà avere un futuro importante nella musica italiana (naturalmente parlo a titolo personale).
Inoltre, mi chiedo se qualcun altro come me senta in queste metriche un qualcosa preso in prestito dal... beh, sì, dal rap.
Io sento un modo di muoversi sulla musica che prende il meglio da quel genere, anche se tutto qui è cantato.
Faccio davvero i complimenti alla band.
Personalmente sento un vuoto quasi insopportabile nella musica indie (e generale) degli ultimi anni.
Tra leggerezze fastidiose, intellettualismi inutili; tra linguaggi esauriti e chi cerca di superarne i confini senza riuscirsi, persi magari nell'ennesima posa e o nella solita anti posa; queste canzoni sembrano finalmente avere da dire qualcosa che sia vero e allo stesso tempo detto bene, con il pregio tra l'altro di essere moderno.
Dove i Voina eccellono, a mio parere, é nello sviluppare dei temi.
ALCOL- SCHIFO - NOSTALGIA; non solo compongono un titolo d'impatto, ma sono anche le tracce che questo disco segue e sviluppa, gli argomenti a partire dai quali i Voina conducono un discorso che evolve in maniera lineare e intelligente. Tanto che si potrebbe quasi parlare di concept-album.
Musicalmente la loro forza risiede nella scorrevolezza armonica e stilistica dei brani, sempre ottimamente costruiti per (s)correre fluidi. Gli elementi di evoluzione dal precedente lavoro sono una leggera virata verso il pop, fortunatamente abbastanza contenuta, e l'assenza di featuring (personalmente trovavo quelli con Marti Stone molto azzeccati). Senza curarsi di essere troppo originali o stravaganti, le musiche accompagnano ed enfatizzano le parti vocali, e sono eccellentemente costruite per evolvere in maniera fluente.
Tutto ciò é in piena sinergia con i testi, ognuno dei quali si rifà ad uno delle tre aree tematiche esponendo uno SPECIFICO concetto con la sagacia di chi ha bene in mente quello che vuole dire. Questo elemento caratterizza a dovere i Voina, facendoli emergere in un panorama dove troppo spesso mancano le idee di fondo. Loro lo hanno toccato invece il fondo, e ne hanno attinto a piene mani un carico pensieri che poi hanno tradotto in musica, riuscendone a conservare sia la parte razionale sia la carica emotiva. Come conseguenza, i testi sono prevalentemente discorsivi ma lanciano frasi ad effetto con giusta regolarità, senza troppi ammiccamenti.
Argomenti, scorrevolezza e disinteresse per gli "effetti speciali": sono i punti fermi presentati dai Voina nei primi 2 dischi. Coerentissimi con la loro estetica disadattata e punk. I risultati sono dischi credibili e inreressanti.
I Voina offrono analisi lucide, attuali, e soprattutto mai banali o qualunquiste, coinciliando una sana consapevolezza con la più depressa e distruttiva delle attitudini.