"H3+" è l'episodio conclusivo della “Trilogia H” dedicata all’anima: un viaggio interstellare che porta Paolo Benvegnù a staccarsi dalla Terra per tuffarsi nel buio denso che riempie lo spazio profondo.
“H3”, lo ione triatomico di idrogeno, è la particella che riempie l’Universo. Il mattone che costruisce il vuoto tra una stella e l’altra. In altre parole il buio. Paolo Benvegnù torna con un disco ostico al primo ascolto, che si lascia scoprire lentamente e con fatica, ma che regala momenti onirici di puro lirismo.
“H3+” è l’episodio conclusivo della “Trilogia H” dedicata all’anima e cominciata nel 2011 con "Hermann", ma che forse più del precedente "Earth Hotel" riesce a parlare delle ombre e delle luci, del perdersi e del ritrovarsi. Un viaggio interstellare, che porta il cantautore milanese a staccarsi dalla Terra e da tutto ciò che di materiale c’è, per tuffarsi nel buio denso che riempie lo spazio profondo.
Così il countdown comincia con “Victor Neuer”, brano impenetrabile e monocorde, dove il brivido che precede la partenza è reso vividamente da un testo profondo e da sapienti synth, che avvolgono la testa e mettono nel giusto stato d’animo per affrontare le altre nove tracce. La Terra si allontana, e sembra quasi di riuscire a vederla farsi sempre più piccola dall’oblò dell’astronave durante “Goodbye Planet Earth”, dove basso e batteria fanno il loro ingresso prepotentemente e ritmano il viaggio.
Un viaggio senza rotta che approda alla meravigliosa “Olovisione in parte terza”, uno dei momenti più toccanti e introspettivi del disco, dove melodie e parole tessono una trama dorata che unisce le stelle in una costellazione del tutto nuova e straordinaria. Il corpo e l’anima galleggiano senza peso nel cosmo in “Se questo sono io”. Aperture melodiche da maestro d’armonia, quale Benvegnù è sempre stato fin dai tempi degli Scisma, fanno da contraltare a una quasi disperata ricerca di senso, dove l’Io è sublimazione, l’altro uno specchio che riflette l’infinito.
La ri-discesa sulla terra comincia con “Slow Parsec Slow”. È un “nuovo mondo” quello che Benvegnù vede stagliarsi all’orizzonte, ed è difficile non sciogliersi in un sorriso beato sentendo cantare che “tutto è luce, tutto si illumina”. Difficilmente si può dipingere con tocchi così precisi un’alba magnifica, senza utilizzare alcuna tela o pennello. “No Drink No Food” chiude il cerchio in maniera elegante e sincera. Gli archi ricompaiono a incorniciare un brano dall’andamento leggero, che tira le somme di tutto il viaggio. L’universo è sconfinato, ma non vuoto. Le parole e le note sono proprio come lo ione triatomico di idrogeno, il buio non è negazione, e la fine non è che un nuovo inizio.
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La recensione H3+ di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2017-03-17 09:00:00
COMMENTI (6)
Genio assoluto.
ho incontrato Paolo a ottobre in Feltrinelli a Roma con Fabio Cinti. è una persona splendida, e ai miei complimenti per i suoi lavori ha risposto con un sorriso imbarazzato e subito dopo ha voluto abbracciarmi per quanto era contento!
detto ciò, mi diceva di come il disco fosse "conclusivo" non solo per il concept, ma anche per la fine del contratto con l'etichetta per cui pubblica, e di come avesse timore di non essere riuscito a dire tutto ciò che aveva da dire, di un'incompiutezza generale.
Beh, direi che se gli album incompiuti sono questi, possiamo ritenerci soddisfatti...Meraviglioso e poetico, come sempre
boh a me il disco e' piaciuto , e vale hermann ed earth hotel . eppoi quando senti due canzoni come "olovisione in parte terza" e "astrobar sinatra" , puoi perdonare anche la bowiana goodbye planeth earth (bowie, mica albano) e gli archi beatlesiani di no drink no food. ce ne fossero dischi cosi'
Per me, ogni disco di benvegnu, è vissuto come un piccolo evento, un qualcosa che può migliorare sensibilmente le mie giornate scandite dalla musica. Tutta la discografia di Benvegnu, eccezion fatta per il primo disco degli scisma, troppo ingabbiato nel genere a cui apparteneva, si è distinta per una originalità ed una profondità che non ha eguali. Purtroppo, il suo successo(commerciale) non è mai stato comparabile alla qualità della musica proposta, ma sappiamo quanto in Italia sia difficile avere entrambe le cose. A Benvegnu non sembrava importare molto, fino ad ora almeno. Si perchè, ascoltando questo suo ultimo album, viene il sospetto che voglia ritaglirsi una fetta piu grande di quel pubblico che, fino ad ora, lo ha ignorato. Non so se l'operazione riuscirà (non credo), ma per coloro che lo hanno apprezzato finora (Io, almeno) questo album suona come una parziale delusione. Per carità, la classe di Benvegnù è tale da permettergli di farsi perdonare anche quando l'ispirazione non lo sostiene come in passato, ma avendo nelle orecchie due gioielli come Hermann e Earth hotel, di cui peraltro questo H3+ conclude una ideale trilogia, non si può non rimanere quantomeno perplessi. Si perchè tutto sembra molto poco convinto, se non nella ricerca di smussare gli sperimentalismi in favore di un pop piu diretto ed accessibile, che solo in alcuni momenti ( la coda jazzata di "slow persec slow", la bella "boxes") nasconde momenti di grande ispirazione. L'ascolto di "good bye planet heart" poi, non bendispone nel suo "plagiare" "ashes to ashes" sull attacco del pezzo , in un omaggio a David bowie che risulta evidente per chi conosce la cultura infinita di Benvegnù, ma che potrebbe essere equivocato da tutti gli altri(ai quali, per altro, sembra rivolto l'album). Insomma, si arriva alla fine senza la consueta sensazione di appagamento a cui Benvegnù ci ha abituati ogni qualvolta il suo nome fa parte di un progetto, che sia con gli scisma, da solista o con un ensamble di suoi pari(priettili buoni). Piccola "nota" sui recensori vari che si affannano ad incensare questo album, quasi a lavare via gli scivloni presi su di un disco bellissimo come Herman, da piu parti sottostimato; fare ammenda correggendo un errore con un altro errore non mi sembra una grande strategia.
Due errori non fanno una cosa giusta!
è proprio un bell'album, curato come sa fare lui e i suoi collaboratori e merita di essere il primo cd che ho comperato quest'anno.
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