“Araba fenice” è il nuovo disco di Katres, un album che parla di cadute e di rinascita dalle proprie ceneri, di nuova forza e consapevolezza.
“Araba fenice”, il nuovo disco di Katres, al secolo Teresa Capuano, esce a quasi cinque anni di distanza dal precedente “Farfalla a valvole”. Esprime il concetto ingombrante della caduta e della rinascita dalle proprie ceneri, passando tra melodie pop, soul, cantautorato, attraversando il blues ed esplodendo in brani diversi l’uno dall’altro, ma tutti originali e interessanti.
Già il brano d’apertura, “Ormai ho deciso” è la consapevolezza di dover incassare tutti i colpi (“incasso ed ho le mani vuote e il cuore calpestato da te”), cadere giù in basso fino in fondo, fino a quel punto da cui si pensa di non poter mai risalire, e invece proprio quello si rivela essere il momento della svolta, ché ora “ti penso e rido, non mi servi son piena di me”: è una nuova completezza necessaria per rialzarsi più forti di prima e riprendere a camminare.
“Bla bla bla” si arricchisce di un sottofondo elettronico che avvicina lo stile di Katres a quello di Meg, forse anche per la pronuncia campana, ma poi è la personalità di Teresa Capuano che emerge, e solo la sua, con una voce che passa da momenti più graffianti ad altri più delicati.
La title-track “Araba fenice”, insieme a “La risalita”, è il simbolo della rinascita, è il ricostruirsi dopo la distruzione, dalle proprie ceneri, ché “ogni caduta è un passo verso la risalita”. “Non chiamarmi amore” è teneramente romantica, fluttua in melodie pop con lievi scosse elettroniche, è la ricchezza dell’amore, dei momenti passati insieme, ma “non chiamarmi amore, pronuncia il mio nome, ché mi piace quando mi metti al centro dei tuoi discorsi”, è il momento in cui “esistiamo solo io e te”.
E la rinascita si chiude con un piccolo capolavoro: la cover di “Mokarta”, forse la canzone più famosa della band messinese Kunsertu e una delle più belle canzoni d’amore in assoluto. E se di solito si dà poca importanza alle cover, questa è notevole per intensità ed interpretazione, anche se forse l’originale rimane un gradino più in alto.
Allora “Araba fenice” è in realtà un cammino verso la rinascita, percorso attraverso il susseguirsi dei brani, è la ripresa della vita, come la primavera che invade gli alberi prima spogli e li riempie di foglie, così l’anima che prima si svuota e perde tutto, poi si riempie di nuova consapevolezza e completezza.
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La recensione Araba Fenice di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2018-04-16 09:00:00
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