Giorgio Canali & Rossofuoco Venti 2020 - Cantautoriale, Rock

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Canali azzanna la "liturgia del pensiero unico" di questo ingarbugliato 2020, con lo stesso spirito dinamitardo di sempre

“Venti è nato durante il Grande Panico Globale del 2020, all’inizio di marzo”, confessa lucido lo stesso Giorgio Canali. “Isolati e confinati nei nostri rispettivi ambienti domestici, rifiutandoci di partecipare alle farse consolatorie dei mini-concerti in streaming e alle balconate pomeridiane, abbiamo iniziato a registrare, ognuno con i propri mezzi, spunti e idee e abbiamo cominciato a scambiarceli”.

Anno nuovo, storie vecchie? Non proprio. Dopo due anni di silenzio, un tour per causa di forza maggiore en-solo che aveva lasciato perplessi parecchi, lenito dalla gradevole promessa di disco imminente in compagnia dei Rossofuoco. Dopo una sequenza di album e collaborazioni raccomandabili a denti stretti. C'è nuovamente voglia di raccontare cosa accade nella società e anche il desiderio di ritornare dentro l'esistenza di tutti per incitare, tranquillizzare e ironizzare. Di colpo sembrava essere venuta meno l'allegra pazzia, il graffio acuto, il sarcasmo acido del rock and roll dei primi capitoli. Se ne era andato, sul più bello della storia, il tutti contro tutti dinamitardo del rojo fuoco, lasciando spazio alla petulante retorica dei grandi. Qui ritorna tutto o almeno sembra bene. Accanto a Giorgio, si fa per dire, Stewie Dalcol (chitarre e piano), Luca Martelli (batteria) e Marco Greco (basso). All'atto pratico, rispettivamente, lui a Bassano, uno a Miami, l'altro in Sardegna e l'ultimo a Bologna. Diego Piotto e Francesco Felcini – buona testa del giro underground ampiamente detto “post” – hanno invece mixato tutto dalla Toscana.

“Morire perché? Un motivo si trova, fra tutte le sante ragioni del mondo ce n’è sempre una
nuova, morire perché? Non c’è mai fine al peggio , morire di sete, morire di sonno,morire di fame, morire di maggio”. Per essere uno dei progetti a cui gli addetti ai lavori puntano maggiormente quali paladini del rock di casa nostra da oltre quindici anni, come inizio non c'è male. Quella appena detta, preceduta da un arpeggio rauco di chitarra che ci prepara al tuono, è la frase di apertura di Morire perché, singolo come si suole dire apripista, nonché zeitgeist dei Rossofuoco in questo 2020 in salsa Covid. Ci sarebbe di che preoccuparsi, se agli incipit non susseguissero fatti idonei a spazzare via i dubbi e le incertezze del recente passato.

In realtà Venti, come il numero delle tracceche contiene e l'anno in cui esce, è un disco immenso sin dai primi secondi, occupati da Eravamo noi, canzone carica di melancolia per una società che cambia senza cambiare mai, ma anche sui sogni che diventano sempre più spesso incubi. Poi parte violento con i due minuti e mezzo di Inutile e irrilevante, con una ritmica spacca gambe che fa già ben presagire per ipotetici futuri concerti reali; interrotta poco prima della bordata finale – "Manifestante no global, non servi più" – da un'armonica a bocca che rende ancora più efficace l'appeal teso e in battaglia.

Subito dopo arriva Wounded Knee che fa il paio con Vodka per lo spirito in quello che potrebbe essere il personale omaggio di Giorgio tanto a Mark Lanegan quanto ai Wovenhand o, ancora meglio, ai 16 Horsepower di David Eugene Edwards. Infine la quiete di una ballata come Acomepidì che pare scritta solo per chitarra e voce a cui si aggiungono presto gli altri strumenti, e che pare filtrare da un vecchio disco di De Gregori se avesse mai avuto la metà del culo girato di Canali, replicata più avanti da Canzone sdrucciola, pura polvere di stelle gucciniana quando anche Guccini non si era ancora iscritto alla bocciofila.

E poi ancora pezzi che si vorrebbe già sentire dal vivo, con aperture epiche che scandiscono un testo che sa già di festa collettiva; esemplare al proposito la breve e coinvolgente Viene avanti fischiando che sembra assurdo sia stata concepita in un clima di isolamento pressoché totale. Oppure Circondati, combat song che fa capire quanto ora come sempre ci sia ancora bisogno di Resistenza. Non teme esagerazioni Giorgio Canali, non si preoccupa né di paragoni né di scivoloni, anche quando in Requiem per i gatti pare scimmiottare i Radiohead comprensivo di un testo che capirebbe forse solo Thom Yorke.

Così facendo però arriva a produrre un disco che non deluderà i vecchi fans e con un pochino di fortuna potrebbe aprire a lui e ai Rossofuoco le porte delle stanze ai piani alti. Dove ci piacerebbe immaginarlo insieme a Zen Circus e Calibro 35 completare un ideale e (im)possibile trittico di band destinate, in maniere e stili diversi, ad azzannare quella che Giorgio definisce “la liturgia del pensiero unico”, a sovvertire l'attuale “mainstream” del rock tricolore dopo questo ingarbugliato 2020. Altro che marmellate.

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La recensione Venti di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2020-12-04 00:20:00

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