Romanticismo sofferto, erotismo adolescenziale, dandismo autocompiaciuto. Italia, Francia, Brasile, Gran Bretagna. Sigarette (tantissime, e di tutte le marche), profilattici, droghe, avventure con le straniere (svedesi o austriache). Jackie Kennedy, Brigitte Bardot, Alain Delon: i Baustelle sono tornati. E c’è tutto il loro mondo dentro a questo nuovo album. Manca appunto l’effetto-sorpresa, e forse questo può essere l’unico ‘difetto’ del disco, ma d’altro canto chi è affascinato da certe suggestioni non potrà fare a meno di iniettarsele nelle vene con dannato godimento, assaggiando con voluttà ogni singola traccia. L’apertura è affidata alla teneramente lancinante “Cin cin”: pianoforte malinconico e sintentizzatori d’annata a sussurrare l’incertezza del futuro e il rimpianto del passato, sognando di scappare via. “Arriva lo yé-yé” è un potenziale singolo spacca-radio, mentre “Mademoiselle boyfriend” bisbiglia una bossa delicata in cui la voce di Rachele Bastreghi ricorda la soavità vellutata della Vanoni; “La canzone di Alain Delon” comincia con un’atmosfera folk-acustica à la Belle And Sebastian per poi scivolare lasciva su una suadente melodia da chansonnier pop. Gli scenari cinematografici tanto cari ai Baustelle si possono visualizzare ne “Il seno”, con quel suo cupo e perverso andamento easy-listening da torbido b-movie anni ’70, oppure nelle innamoratissime aperture orchestrali di “EN”. Ci si diverte poi con l’electro-synth-pop saltellante e tipicamente ’80s di “Reclame” mentre la title-track rispolvera in parte il retaggio brit del gruppo: una sorta di “Common people” dei Pulp cantata con il piglio autorevole di un Battiato. Lo spettrale noir da dopoguerra di “Arrivederci” apre infine all’ascoltatore l’oscura porta della ghost-track “Beethoven o Chopin”: decadentismo esistenzialista tra musica classica e velati ammiccamenti sonici. Finisce così “La moda del lento”, un disco dalla gestazione piuttosto lunga e travagliata, ma che probabilmente anche per questo ha fortificato i Baustelle come gruppo. Va infatti notata la maggior compattezza del suono, molto curato in ogni dettaglio, e un’acquisita confidenza da parte della band con l’elettronica (presente in quasi tutti i brani, senza mai risultare “invadente”). Alla fine, ed è la cosa più importante, a rimanere in testa sono però le melodie delle canzoni, concepite con dolorosa eleganza e finemente cesellate. Brindiamo dunque a questa piccola gemma di italico (indie)pop.
Cin cin!
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La recensione La moda del lento di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2003-05-22 00:00:00
COMMENTI (8)
Sono d'accordo per quanto rigurda il sussidiario.
Poi per il resto sarà una questione di gusti. La moda del lento è un disco che, passati tre anni ormai, continua ad emozionarmi tantissimo. EN (forse perchè c'è stata una Elisa anche per me), Mademoiselle boyfriend, la canzone di Alain Delon, Love Affair, Bouquet...faccio fatica a trovarci dei difetti.
si ma En l'ha scritta per me :[
Per adorare te
La tua libertà
Poche righe
Ma solo per te
Per i tuoi uomini
Per il cabernet sauvignon
Cioé le labbra tue
Ecco perché
Elisa [:
boh... "la moda del lento" per me si ascolta solo il tempo di due pezzi... quel disco è sempre stata una delusione. :|
opera prima e terzo cd, invece, hanno dentro canzoni capolavoro da cantare a squarciagola... :)
Sarà anche vero, ma io nelle storie raccontate nella moda nel lento ho ritrovato pezzi della mia vita. La malavita non mi dice niente.
siete pazzi
la moda del lento è il disco meno riuscito dei baustelle
sussidiario e la malavita sono i due capolavori
ma il primo è troppo legato al citazionismo
la malavita è più personale
comunisti prevenuti:[
Anche io, la malavita è rimasto lì in macchina nel porta-cd, la moda e il sussidiario girano e rigirano nello stereo.
Straquoto......:?
Questo è l'ultimo disco dei baustelle, prima dello scioglimento. In seguito alcuni loschi figuri si sono riappropriati del loro nome per darsi un tono di serietà, un ombra noiosa di cantautorato, tanto male di vivere del nuovo millennio che in confronto a quello vero sembra un fotoromanzo sul male di vivere. Non sono qui a dire "erano meglio prima" "erano peggio dopo". Sono qui per intristirmi per questo strano processo per cui tutti i gruppi che passano su una major di solito si rovinano rendendosi più leggeri e accessibili, mentre i baustelle si sono rovinati rendendosi tragicamente pesanti. Io continuo a immaginarmi carta da parati a scacchi, martini e capelli a caschetto. Voi fate pure ciò che volete con la ragazzina suicida che rapinava l'esselunga.