L'Africa fatta a pezzi e rimontata
Iniziare un progetto bruciando la fase di startup, e arrivare, poco più di un anno dopo, a far uscire un disco che si trascina dietro una notevole dose di aspettative. Non tutti ci riescono, così rapidamente poi, c'è bisogno di talento e di una notevole capacità di programmazione (su tutti i canali: promo, date, perseguire con costanza un certo tipo di estetica e di immaginario), aldilà delle circostanze fortunate e della lista di contatti caldi che conservi nel cassetto. Ovviamente non sto nemmeno a ribadirvi che nella storia di Clap! Clap! il trascorso artistico del protagonista (per i pochi a cui mancano dei pezzi: Cristiano Crisci, già Digi G'Alessio, nome onnipresente negli ultimi cinque anni di elettronica italiana di confine) giochi un ruolo di assoluto primo piano. A rendere interessante la faccenda ai nostri occhi però, piuttosto che calcoli e planning discografici, è la variabile (quella sì naturale e incalcolabile) di spontaneità e freschezza. La forza di Clap! Clap! risiede nel suo accadere in una maniera così "contemporanea", pur utilizzando sample presi da dischi e registrazioni del secolo scorso, che ne amplifica il linguaggio e la portata. Il fascino esotico di un'Africa fatta a pezzi e rimontata, seguendo, da un lato, le vibrazioni delle periferie occidentali della terza generazione post-diaspora (Londra, Chicago), dall'altro, conservando intatto un calore originario sul quale pontificare tutto il resto. È la stessa linea, con le dovute differenze, tracciata negli ultimi anni da gente come Major Lazer, Africa Hitech o LV: quella di esprimere, nello stesso istante una forte componente fisica assieme a un bagaglio concettuale che, è bene ricordarlo, non è alla portata di tutti.
"Tayi Bebba" è un viaggio in 17 tracce lungo un'isola immaginaria, attraversando l'arco dei suoi molteplici aspetti: luoghi magici, rituali, segnali da interpretare. Simile a quanto già fatto da Eno e Byrne in "My Life in the Bush of Ghosts", dal quale idealmente prende anche le mosse, distaccandosene nel tipo di narrazione (progressiva e verticale lì, tanto ripida e sconnessa qua). Una Parigi-Dakar straniante e altamente visionaria, dove a litanie in loop su bassi vellutatissimi ("The Holy Cave") fanno da contraltare inni da club ("Ashiko", "Black Smokes Bad Signs"), maddalene ipnotiche ("The Rainstick Fable", "Sahkiis Knowledge") e abstract ("Universal Modulator Kujhmak"). Sono appunto linguaggi che si intersecano, all'interno di un quadro in cui assumono uguale spessore il ritmo tanto quanto la componente melodica, a cui spetta il compito di dipingere gli sfondi sui quali far muovere queste storie. L'esempio perfetto è il terzetto di tracce messe più o meno a metà del disco: "Conqueror Action Assault", "Conqueror Consequence Memories" e "Conqueror Remorse Withdrawn". Scariche di beat assassini che crescono, sino a prendere prima la strada della footwork colma di pathos evocativo, e planando poi su futurismi garage e house. E campioni costantamente cesellati alla perfezione. Viene da chiedersi da quale library oscura vengano fuori, coscienti che in tal caso acquisterebbero un'altra valenza e la creazione rischierebbe di diventare poi semplice esercizio.
È li che risiede uno degli aspetti che rende affascinante e comprensibile ai quattro angoli del globo una cosa come Clap! Clap!. Parlare alle gambe, all'istinto, e farlo costruendosi una poetica che da Firenze guarda giù, oltre il Mediterraneo, utilizzando onde che magnificano l'imponente bagaglio di identità subsahariana. Sentirsi col culo a Bamako, assaporandone gli aspetti più riconoscibili trasportati su una rotta boreale.
Al netto di un paio di tracce che aggiungono veramente poco, cinquantatre minuti (solidissimi) possono bastare per incoronare questo di Clap! Clap! come uno degli esordi dell'anno. Restano un paio di domande: se e come si svilupperà il futuro, se e quanto questo album sarà capace di raccogliere. Per la prima risposta c'è solo da aspettare, cercando di capire soprattutto quanto spirito reale di ricerca si nasconda dietro, il dubbio che sia tutto frutto di una passione passeggera per il momento non ci tange, ma sarà il gradiente attraverso il quale si misureranno i successivi passi. Per la seconda risposta, basta guardarsi attorno e mettersi a contare ad ogni ascolto feedback e boati di meraviglia. E sfidarvi a suonarlo per vedere chi sarà capace di rimanere fermo di fronte a queste note.
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La recensione Tayi Bebba di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-09-08 00:00:00
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