I Nidi d'Arac sono la glocalizzazione fatta band. E cioè la prova schiacciante ed incontrovertibile che la musica, da qualsiasi incrocio di parallelo e meridiano arrivi, non ha davvero limiti di fruizione. Ma anzi sfrutta le nuove tecnologie, le "macchine", per farsi più elegante, più intensa, più bella. Quando si dice che la musica è linguaggio universale, si intende anche Nidi d'Arac.
Torna l'allargato combo salentino col quinto album - tenendo fuori la soundtrack di "Figli di Annibale", regia di Davide Ferrario, 1998 -, "St. Rocco's rave", fornito di un impasto sonoro oggettivamente travolgente. A tratti incredibile. Perché la taranta pizzicata, dentro il nuovo lavoro, va ad ibridarsi intelligentemente ma prepotentemente col dub, col rap, con la trance, l'elettronica minimalista, dando vita ad un etno trip-hop da leccarsi i baffi per la ricchezza sonora.
Mentre ho ascoltato, tutte d'un fiato senza che i miei polpastrelli si sognassero neanche per un momento di premere il famigerato skip, le tredici canzoni del disco, non ho potuto fare a meno di sudare. Avrei voluto avere una stanza sei volte più grande di quella che ho, buttarmici in mezzo, correre, ballare, saltare. E anzi poter imparare qualche passo di pizzica de core da una dolce salentina che fosse magicamente materializzata. Insomma avrei voluto - chissà che prima o poi non lo farò - prender parte all'ormai nota festa patronale di San Rocco del 15 agosto a Torrepaduli da cui il disco prende, inglesizzandolo, il nome: l'apoteosi della pizzica, in tutte le sue varianti, ad aspettare l'inizio della locale sagra del bestiame.
Invece ho dovuto sudare comunque, ma rimanendomene ben seduto a scrivere queste righe. E non perché facesse un gran caldo, ma perché i Nidi d'Arac t'arrivano diretti nelle viscere. Anche se non sai davvero un fico secco del Salento e di quanto cultralmente rappresenta.
Tutto ciò accompagnato da un nitore strepitoso, una pulizia negli arrangiamenti davvero notevole. Insomma: un livello sia compositivo che esecutivo alto.
Una ritmica a tratti allucinogena, tribale nel senso sanguigno del termine, va a tessersi con campioni e programmazioni sempre discreti, mai straripanti, ma perfetti e prorompenti. All'interno di una struttura così architettata vanno poi ad intarsiarsi, come gioielli ad incastro, le melodie tanto particolari, polverose, sofferenti e sensuali che sono quelle della pizzica salentina, coi suoi tamburelli, coi suoi violini-sitar sempre lievemente scordati, con i suoi testi di vita e morte, sangue e passione, giorno e notte. I suoi testi che, semplicemente, narrano Esistenze. Che acquistano così - pur mantenendo il loro timbro inequivocabile, profondamente dionisiaco, antropologicamente fondato, pesante, pregnante, spietato a tratti - una veste sicuramente più accattivamente per chi non ami la pizzica così com'è.
Dall'attacco programmatico "Straniero del mondo" alla mefistofelica "Sogno", passando per il cantilenante rappato "Quante tarante?" fino alla title-track "St. Rocco's rave" e alla squisita "Gocce" i Nidi d'Arac meritano una cosa sola, ormai (anche se loro magari se ne fregano): uscire dal cantuccio di gruppo folk, etnico, world o come cavolo si dice oggi.
Qui c'è Musica. Ottima Musica.
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La recensione St. Rocco's rave di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2005-08-05 00:00:00
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