Dopo due dischi meno che mediocri, un bel disco degli Afterhours.
Un bel disco degli Afterhours è una delle notizie migliori che si possano ricevere, perché avevo perso la speranza di emozionarmi ancora per le loro canzoni. Invece, a distanza di dieci anni da “Quello che non c’è”, ultimo lavoro capace di lasciare un segno, dopo due dischi meno che mediocri, dopo operazioni infelici e scelte discutibili, finalmente la rock band milanese si riprende un ruolo che in Italia aveva quasi inventato. E lo fa nel modo più semplice possibile, tornando a suonare come gli Afterhours, con un disco che fa splendere nuovamente quell’urgenza che agli esordi aveva reso la loro musica una soluzione possibile all’ossimoro “rock italiano”.
Tornati quasi a mani vuote dall’incursione nell’ipotetico mainstream, gli Afterhours attingono alle loro radici, sviluppando un’opera figlia di quella nuova decadenza contemporanea che colpisce anche gli ultratrentaquarantenni in carriera. “Padania” è un concept album sul disorientamento moderno, filtrato dallo sguardo di chi giovane non è più. Un disco che parla alla generazione figlia degli anni novanta, cresciuta tra odio e speranza, tra lotta e sconforto, ritrovatasi a viaggiare spaesata nel nuovo millennio, ma ormai consapevole di quello che non c’è. E’ soprattutto a loro che le nuovi canzoni sembrano poter comunicare una ritrovata vitalità espressiva. Ritrovata perché gli Afterhours assumono un atteggiamento che mancava loro da tempo e, proprio nell’anno bisestile, cambiano rotta e stile, tornando ad essere ciò che erano agli albori, aggrappandosi a “Germi” e “Hai paura del buio”. Non è però un’operazione nostalgia o un semplice rifugio, bensì la riscoperta di un respiro musicale che avevano soffocato e che oggi sembra più vivo che mai. “Padania” è una sintesi concettuale dell’immaginario rock che li ha resi importanti per il nostro Paese. Nella nuova avventura, torna a bordo stabilmente un grandioso Xabier Iriondo, la cui presenza sembra risvegliare un armonioso coraggio nella composizione collettiva. Insieme a lui, entra stabilmente anche Rodrigo D’Erasmo, ispirato e determinante, agli archi e non solo. Gli Afterhours si presentano, dunque, nella migliore formazione possibile. Nascono così quindici canzoni, molte delle quali davvero belle, finalmente. Manuel Agnelli si libera di quella patina da paladino-comunicatore a tutti i costi e riprende ad esprimersi di pancia, graffiante, crudele: non lo si ascoltava così ispirato ed in forma da tanti, troppi anni. Torna a cantare senza compromessi, attingendo alle sue fonti di ispirazione primordiali, muovendosi senza schemi e liberandosi da quel pathos eroico che lo aveva accompagnato negli ultimi anni, a favore di una rinnovata purezza che nulla ha da perdere.
“Padania” mette insieme le diverse anime degli Afterhours, dando libero sfogo alle dissonanze, al rumore, alle variazioni strumentali, lasciando però spazio a derive di romanticismo melodico e squarci di intimità cantautorale, riscoprendo il gusto per una sperimentazione incandescente che contrappone in modo non lineare schizofrenia rock e fascino popular. Un rimpallo stilistico in cui grunge, hard-blues, psych-noise incontrano il pop d’autore e la grande ballata rock, in un’alternanza tra gorgheggi scomposti, carezze elettroacustiche, intrecci rabbiosi, morbide aperture melodiche, fraseggi nevrastenici. Insomma, le canzoni di una volta. Vecchie ed autoreferenziali. Piacevolmente vecchie. Piacevolmente autoreferenziali. Gli Afterhours adulti che si ispirano agli Afterhours post-adolescenziali, recuperando la mutevolezza della loro musica per tornare credibili, emozionanti. Non tutto gira come dovrebbe e la continuità viene spezzata da alcuni, pochi, passaggi a vuoto, ma “Padania” sale sul podio come terzo-miglior-disco della storia musicale della formazione milanese. Un disco generazionale per quella generazione ormai adulta, che in queste canzoni può riscoprire le sue radici e ricostruire il percorso psicologico che l’ha accompagnata fino ai tempi moderni. Bentornati Afterhours.
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La recensione Padania di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2012-04-23 00:00:00
COMMENTI (31)
@Cossezen
Il discorso sull'oggettività l'ho tirato in ballo io e non mi pare così stupido e infantile.
d'accordo con Giulio: è assurdo, stupido, infantile parlare di oggettività assoluta riguardo alla musica. Che poi dico: il frikkettone di turno critica questo o quel gruppo e quando poi vai a vedere le sue preferenze musicali ti rendi conto che i suoi gusti non sono migliori (o peggiori) rispetto a quelli che tanto critica: sono semplicemente diversi (sarebbe troppo bello!). Però lui, il frikettone, vuole sentirsi sempre "sopra" agli altri, e quindi i suoi gusti, la musica che tanto ama, per lui, hanno sempre qualcosa in più e sono sempre avanti, rispetto agli altri. Leggendo alcune discussioni precedenti mi sono reso conto che sostanzialmente tutti quelli che criticano un gruppo, normalmente non sanno dare una spiegazione tecnica a riguardo: per loro quel gruppo fa cagare, mentre i loro gruppi preferiti sono superiori, punto. Non si sa per quale ignota ragione, è così e basta (un po' come succede per i bambini quando si impuntano su qualcosa).
un bel disco?? nel mio iPod disco dell anno
@nicko {C}
Permettimi ma il caso è diverso: Laster Bangs ha scazzato ma probabilmente era rimasto spiazzato dalla novità, ha avuto fretta e non ha capito. I due dischi degli Afterhours sono invece usciti da un po'... vabè volevo solo precisare ma non voglio farla lunga.
@cesareparmigiani non dimenticare che Lester Bangs stroncò impietosamente gli MC5 di Kick out the jams...
@pons {R}
Magari non esiste l'oggettività assoluta nella musica, certo risulterebbe alquanto assurdo se un recensore, in rispetto dei suoi gusti personali, se ne uscisse con il dire che "Metallica" "Thriller" "Blood sugar sex magick" "One nation under a groove" "Marquee moon" sono dischi mediocri. Penso che un minimo di oggettività non guasterebbe.
@cesareparmiggiani secondo me, non esiste un'oggettività assoluta nella musica, per questo ci sono i generi e i loro "follower": i metallari, i rappusi, freakettoni etc etc... è bello così. Poi si ascolta un po' di tutto e a seconda dell'età della propria vita si cambia... magari vasco brondi ti piace tra 10 anni. :-D
@pons {R}
Non sono proprio convintissimo però mi arrendo. Si parla di musica e quindi il gusto svolge un ruolo importante, ma, facendo un discorso generale, penso che "il recensore" dovrebbe possedere anche quelle competenze "tecniche" che lgi permettono di dare giudizi liberi dalle gabbie del gusto personale... perchè seguendo il tuo discorso, se a uno come me capitava un disco de "Le luci della centrale elettrica" probabilmente l'avrei stroncato brutalmente, magari anche sbagliando, solo perchè a me non dice niente.
o c'avete i recensori con una opinione personale o c'avete una linea editoriale, decidetevi.
@cesareparmiggiani ogni recensore quando scrive parla a nome suo, non parla come "Rockit". I gusti son gusti e all'interno di una testata ci possono essere persone che hanno idee diverse. Nessuna schizofrenia, dai.