Un disco di malinconie e sputi in aria. Da cantare e viverci appresso, essenzialmente. Naif come solo i più sinceri riescono ad essere.
Come se alla fine non bastasse mai. E quindi, si finisce per girare sempre attorno a quelle tre-quattro certezze della vita: le chitarre acustiche, i cori grossi, gli amori naif e un paio di amici con l’etilometro sfasato. Ora, che Girless & The Orphan avessero quelle due anime lì, le bottiglie scolate e le ragazze belle, un paio di occhi azzurri che ogni volta ti fanno schiavo ("those precious eyes you use to roll, those eyes could be a covert, a pallet, and more"), l’avevamo capito. Ed è un po’ come quando intorno ai 17 anni ho masterizzato un cd, e per la prima volta ci ho messo dentro assieme Nirvana e Neutral Milk Hotel. Vuoi o non vuoi, certe cose te le porti appresso sempre, coi dovuti richiami. Poi uno cresce, con lo scrupolo di trovarsi gli equilibri giusti ("I have been searching for shelter a lot, I know it’s humdrum, but I can’t help finding all the things I missed"), che quel disco resta sepolto tra una miriade di madeleine. La flanella passa e si porta dietro Seattle e i poster sui muri.
Adesso, scrivere che Girless & The Orphan siano diventati maturi mi sembra eccessivo. Piuttosto, hanno smussato gli angoli grezzi della loro personalità, quelli che li facevano assomigliare ai Rednex campagnoli della riviera. I pezzi dritti rimangono sempre, ma all’ironia di prima si sono sostituite la consapevolezza e una certa dose di rabbia che mi ricordano i Descendents di “Cool To Be You”, quando se la prendevano con l’America di Bush. Non c’è più Berlusconi (citato in "Wings behind your back"), e si canta di comunisti, Vaticano e Gesù. Quattro pezzi via così, alcuni molto belli (“Bad Scene, Your Fault”), altri che faccio più fatica a capire (“Mein Vatikampf”). Compaiono da dietro pure le trombe, e i ritornelli, quando li beccano, sono grossi così che se dici emo non è una bestemmia. Quindi essenzialmente ancora folk punk, ma con un modo d’essere, più che di suonare, diverso da prima.
È il lato romantico quello che viene fuori con più forza. Un paio di arpeggi bellissimi che farebbero commuovere anche te, che rimani sempre schierata coi tuoi stivali di cuoio, le ossa rotte passate sotto al metal-detector e un po’ di parole da stringere sotto al cuscino. E tranne “Cinnamon & Arrogance”, che è un pezzo a metà, gli altri ti si attaccano addosso come le piccole tristezze di un amico davanti a un camino acceso. Quindi, la verità delle cose la capisci sempre dopo che gli altri te l’hanno spiegata, e coi Girless, con quei ritagli e quelle inquadrature alla Rocky Votolato (il parcheggio vuoto per scopare, la luna che splende fuori dalla camera da letto), finisci che ti fidi e non chiedi nient’altro.
In sostanza, un disco di malinconie e sputi in aria, che sembra un ragazzo di 20 anni in attesa di prendere il testimone e passarlo a chi sta ancora più dietro. Da cantare e viverci appresso, essenzialmente. Naif come solo i più sinceri riescono ad essere. La strada intrapresa, per il momento, è quella giusta.
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La recensione Nothing To Be Worried About Except Everything But You di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2012-10-29 00:00:00
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