Tra new wave, dream pop e psichedelia in un percorso emozionale fatto di piccoli racconti e sentimenti vivi.
Chissà se un giorno avremo nostalgia di questo presente, delle scelte fatte o subite, dei rapporti complessi e indecifrabili, di me che ti guardo e tu che guardi altrove. Eppure certe visioni di oggi mi sembrano già ricordo, sembrano già fotografie appese al muro perché il tempo corre molto più di noi, e se è davvero questa l’età più forte allora che si trasformi in indelebile memoria, nel bene e nel male. E la forza è certo l’elemento necessario per reagire, coprire le distanze, risolvere l’amore quasi fosse un’equazione o soltanto accettarne impotenti il risultato: in questo disco è subito chiaro (”Fotti il tuo dolore prima che lui fotta te”), bisogna essere in prima linea, decidere, non patire gli eventi ma affrontare le battaglie quotidiane (”La vita ti spaventa da quando è in mano tua”) che riservano sempre un finale incerto (”Il nemico non c’è più e non lo sai se l’hai sconfitto tu o no”).
Il cantautorato lunare e intimista di Grazian, che già nel precedente “Armi” aveva immerso i piedi tra le onde new wave in una ricerca sonora nuova e ispirata, qui si arricchisce di nuove influenze senza perdere il piglio da narratore intenso che tratteggia miniature esistenziali di momenti perlopiù tristi: si spalancano scenari psichedelici, caleidoscopi dream pop, morbidezze riverberate e approcci sintetici, senza perdere di vista tutto ciò che è stato in dieci anni di attività (del 2005 è il suo primo album, “Caduto”). “Satana” mette subito in chiaro questo mood, ché proprio di umore si tratta, è come sorridere in piena catastrofe perché basta poco per fare quel passo che ti permette di salvarti, e il passo è in quello ‘scegli’ ripetuto sovente, mentre i tappeti sonori sono puramente onirici e dilatati. “Lasciarti scegliere” è il lato sinfonico della new wave, quello che mette da parte il sound minimale per celebrare epici istanti, e torna ancora il tema della scelta, e sembra ancora che sia la cosa più difficile, mentre “Corso San Gottardo” sprofonda nuovamente tra trame sognanti, quasi fosse una ballata dai colori leggeri e mutevoli.
Gli episodi che si allontanano un poco dalle atmosfere prevalenti del disco sono certamente “La Risposta”, sorta di amara filastrocca synthpop, e “Se io fossi una band mi scioglierei” che gioca tra punk e postpunk con testo breve, intenzioni incisive e rimandi ai CCCP: “Anastasia” si infila suadente nel dreamy, “La meglio volgarità” sorseggia robuste dosi di new wave, mentre i due brani finali sono lì a ricordarci la distanza, con quel ‘quasi’ che è l’incolmabile limbo che ci separa, e a sottolineare un amore che parla spesso da solo, con quel ‘noi’ che è l’espressione massima di quanto ognuno basti per sé. E in un’aria densa di riverberi ed ethereal landscapes à la Pink Floyd si chiudono le danze, si disperdono i sogni, e si riaccendono le luci.
Interamente scritto e arrangiato da Grazian, che suona quasi tutto sostenuto da eccellenti collaboratori (i fidati Enrico Gabrielli e Leziero Rescigno affiancati in questa occasione da Rodrigo D’Erasmo e dal lavoro in studio del produttore Antonio ‘Cooper’ Cupertino), e prodotto grazie a una campagna di crowdfunding, “L’Età Più Forte” prende il nome dal secondo volume dell’autobiografia di Simone De Beauvoir e l’ispirazione dal variegato background del cantautore veneto, mescolando generi e umori in un percorso emozionale fatto di piccoli racconti e sentimenti vivi, dove le costruzioni sonore accompagnano abilmente le parole in un’unione amorosa ben lontana dagli esiti della nostra: se un giorno avremo nostalgia di questo presente, sarà perché sceglieremo di farlo, e questo basta già per renderlo indelebile memoria.
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La recensione L'età più forte di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-01-19 00:00:00
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