Sonorizzare il silenzio, dipingere contorni al vuoto, scoprire la nuda bellezza.
Giocare tra vari livelli di profondità, esaminarli uno a uno per trovare quello giusto dove stendere parole, dove intrecciare un pianoforte coi cori gravi di un violoncello, e seminare tocchi sintetici di elettronica eleganza: sonorizzare il silenzio, dipingere contorni al vuoto, dare forma fisica a un’assenza, questo è “Senza fare rumore”, e d’improvviso la solitudine appare come un rifugio, qualcosa di caldo, una malinconia arrendevole e ricca di sfumature che spesso non si vedono se non al buio. L’aria si fa densa di trame cantautorali, di quel minimalismo cosmico che riesce a invadere una stanza quando la stanza è il mondo, e c’è soltanto una parola che vince su ogni complessità, su tutte le cose inutili e le strade sbagliate: la bellezza. Bellezza nuda, fluida nei chiaroscuri, nascosta in un ricordo, sostenuta e resa ancor più lucida da strumenti essenziali, dallo snocciolarsi esiguo di note come gocce, dal vento che sembra soffiare costante in ogni brano, e ti scompone i capelli, e anche un po’ il cuore.
Dalle promesse di “Pozzanghera” ai beat di “Luce”, Sylvia celebra le divagazioni notturne, i percorsi in circolo prima dei sogni, la maturità di una tristezza coltivata nel tempo per diventare una fotografia appesa accanto al letto, compagna affidabile e memoria di errori e di mancati ritorni: l’innegabile meraviglia di “Da me”, il brivido più incisivo e la commovente dolcezza di mille addii in un unico sguardo, fisso alla finestra, che attraversa ogni orizzonte fino a raggiungerti, in un crescendo emotivo che concentra in una manciata di minuti un dolore che pare infinito, e forse lo è. Tutto cade in “Insomnia”, senza fare rumore ché quando s’infrange un desiderio o un’idea, l’urlo rimane dentro, sotto pelle, mentre le lacrime fuori non producono suoni, e la musica si stringe in un abbraccio così intimo da diventare universale.
La sensazione dominante di perdersi in un pensiero fisso, mentre intorno piove e tutto il resto non conta: questo è “Senza fare rumore”, e d’improvviso ci osserviamo allo specchio per trovare risposte ancora lontane, per scoprire i colori che un’emozione intensa produce sul viso, e sondare profondità che portano, attraverso canzoni che brillano come candele nella notte più lunga, alla nuda bellezza.
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La recensione Senza Fare Rumore di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-05-09 00:00:00
COMMENTI (4)
Meg ce la senti solo tu, mi sa. Io la trovo straordinariamente brava.
si come no ... E Meg? Che noia....
La voce femminile più originale che ho sentito in Italia da anni. Le canzoni ancora le sto ascoltando ma la voce è veramente un unicum. Non si nota a prima vista come quelle potenti ma comunque quasi subito ti accorgi che ha qualcosa di pazzesco. Echi di Ornella Vanoni ma in contesto del tutto alieno. Come il giornalista di Rolling Stone disse di Bruce al primo concerto "questa notte ho visto il futuro del rock" viene da pensare che sentiremo parlare a lungo e vedere molto su Sylvia
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