Non possiamo sapere cosa ci fosse nella testa di Bianconi quando cantava di voler costruire il modern chansonnier, ma probabilmente non siamo molto lontani.
"Build the modern chansonnier". Era il 2000 e con queste parole si chiudeva il primo album dei Baustelle, un viaggio tanto naif quanto dirompente in una giovinezza provinciale e sintetica. Sono passati 17 anni, l’età simbolo dell’adolescenza e i Baustelle mettono la parola fine a qualsiasi debito nei confronti di ispirazioni e padri nobili. Per farlo, scelgono la strada della radicalità, impastando in modo sfacciato tutte le citazioni che da sempre li caratterizzano e racchiudendole in dodici pezzi “oscenamente pop”, per citare la definizione di Francesco Bianconi.
Del resto, radicale era anche “Fantasma”, il loro album precedente: un disco costruito a partire dalle partiture d’orchestra, che aveva segnato il punto di arrivo di un progressivo allontanamento dalla canzone pop degli esordi. “L’amore e la violenza” comincia proprio da lì, da un’intro sinfonica super-barocca che viene strozzata dopo nemmeno un minuto, come a dire che è il caso di dimenticarsi il mondo sonoro di “Fantasma”, perché questa volta si va in tutt’altra direzione.
“L’amore e la violenza” parte dai profughi siriani e finisce nel sogno sixties del ritorno dell’Era dell’Acquario, in un continuo cortocircuito di epoche e rimandi, in cui i Pulp si incrociano con gli ABBA e un pop elettronico leggerissimo quasi si sovrappone a una coda prog. Il giochino di andare a riconoscere tutte le citazioni può essere divertente, ma anche fine a se stesso, perché dopo quasi vent’anni di carriera è giusto riconoscere al trio Bastreghi-Bianconi-Brasini un proprio stile. Si può citare Battiato e Jarvis Cocker, ma la cosa giusta da dire è che questo è al 100% un disco dei Baustelle. Dei Baustelle maturi, che ritornano alle origini con esperienza e autorevolezza, ricreando quell'immaginario sonoro al massimo delle possibilità, suonando tutto con strumenti analogici e preferendo alla batteria dei campioni presi da dischi anni '70.
Come per le musiche, anche nei testi siamo perfettamente calati nell’universo di Francesco Bianconi, con parole e rime allo stesso tempo forzate, ma perfette, che rinnovano quel senso di amore e fastidio che da sempre accompagna l’ascolto dei Baustelle (“piove su immondizia e tamerici, sui suoi 5000 amici”, da “Betty”). Flash narrativi che raccontano storie con poche parole (“ti ha lasciato un figlio, Foster Wallace, tre maglioni”, da “Basso e batteria”) si alternano a riflessioni esistenziali (“la vita è bellissima in quanto inutile”, da “La vita”) che non sono mai state così piene di speranza. La sensazione è che Bianconi sia arrivato a fare pace con il fatto che bisogna imparare a vivere, perché non c’è alternativa al futuro, aiutato forse anche dalla nascita della figlia. A lei è dedicato l’ultimo pezzo dell’album, che richiama un’altra canzone scritta per una figlia (“Culodritto” di Guccini) e chiude “L’amore e la violenza” con la voce di Rachele che canta “Tu scendi dalla stelle” a mo’ di ninna-nanna.
Non possiamo sapere cosa ci fosse nella testa di Bianconi quando cantava di voler costruire il modern chansonnier, ma probabilmente non siamo molto lontani.
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La recensione L'amore e la violenza di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2017-01-16 00:00:00
COMMENTI (1)
Bellissimo disco. consigliato.