Groove, noise, invettive e slanci melodici. Servono a poco le discussioni sullo stato di salute del rock quando hai in cuffia “Breach” dei Polemica.
Servono a poco le discussioni sullo stato di salute del rock quando hai in cuffia “Breach” dei Polemica. Il secondo album del quartetto italo-americano, oltre a ricordarci il senso dell’ormai polveroso acronimo DIY, ha trovato una formula originale e spigolosa per tenere in equilibrio groove, noise, invettive e slanci melodici. È thinkrock, dicono loro, lasciando intendere la crudezza delle tematiche e dando una lezione a chi crede che l’urgenza creativa sia solo sinonimo di bassa qualità. È thickrock aggiungerei io, corposo più che hard, capace di ballare sulle corde slappate del basso senza preoccuparsi di contaminare il genere, strappandolo col funk e rimettendolo insieme con la chitarra distorta.
“A Walk In The Park”, in apertura, non ti dà mica il lusso di fermarsi a riflettere sul ruolo o il significato della musica rock nel 2018. È un pezzo di un impatto totale: si prende le gambe, le orecchie, il cuore e lo stomaco di chi si appresta ad ascoltare “Breach”, tenendoli in ostaggio almeno fino alla fine di “Man’s Privilege”. Naturalmente, dopo che “The Bell” ha risvegliato quella voglia sopita di handbanging e il ritornello epico di “Passenger on the Ghost Ship” risuona ancora in sottofondo. Sono soltanto i primi quattro brani dell’album, ma ce n’è già in abbondanza per i fan di Steve Albini, Crass e, almeno in parte, dei Primus.
Intanto i Polemica, bravissimi a rielaborare il tutto in chiave personale, trovano nella voce di Hilary Binder il collante perfetto tra la prima parte di “Breach”, più ruvida e groovy, e la seconda parte nettamente più melodica. In “Silly Me” il post punk è al servizio di un ritornello killer, mentre “Morning Fight” e “Need More Time” scoprono la vena intima della band.
Ci pensa poi la title-track a rimettere tutto sottosopra, apparecchiando un finale con i fuochi d’artificio. “Breach” è il climax, la televisione distrutta e in fiamme in copertina del disco nonché il suo slancio più rumoroso. È il glitch: l’anomalia nel sistema che non ti aspettavi e che non puoi controllare, sfociata in una rottura definitiva e un grido liberatorio.
L’album poteva tranquillamente concludersi in questo punto, ma i Polemica, dopotutto, ci hanno preso gusto e non hanno nessuna voglia di smettere di tirare schiaffoni. “Welcome to the Show”, in chiusura, non poteva essere un messaggio più chiaro: lo spettacolo è appena cominciato e chi cambia canale non sa quello che si perde.
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La recensione Breach di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2018-08-27 00:00:00
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