Dal mare al cielo, Populous passa in rassegna le mille sfumature blu di un distesissimo Salento, per prendersi cura di noi come di sé stesso
Respirazione più rilassata, rallentamento del battito cardiaco, riduzione della pressione arteriosa. I motivi precisi sono tuttora oggetto di studio, ma la comunità scientifica pare essere abbastanza d’accordo nel riconoscere al colore blu degli effetti calmanti nei confronti dell’uomo. Che sia con una sfumatura più chiara o con una più scura, dall’azzurro delle rive dell’Adriatico all’indaco di un cielo d’autunno senza sole, il blu tinge ogni angolo di questo disco, sia nella sua versione fisica che in tutte le grafiche condivise online come parte della sua promozione. Questa associazione probabilmente sarebbe un po’ una stonatura, se venisse accompagnata dall’approccio musicale al quale ci ha abituati Populous negli ultimi anni, ed è proprio qua che arriva la grande sorpresa di questo disco: Andrea Mangia abbandona i ritmi latini con cui ci aveva fatto ballare in Azulejos e adotta uno stile più simile a quello dei suoi esordi, cosa che lui stesso ci esorta però a non considerare un nuovo percorso o la chiusura di un cerchio, ma semplicemente il suo stato emotivo del momento.
Scritto e registrato in Salento, nella sua Puglia, in quello che ci viene descritto come un quasi eremitaggio, Stasi prende in prestito i suoi ritmi da quelli della vita di un paese di mare in bassa stagione. I primi veri elementi percussivi di questo disco ci mettono più di un minuto a palesarsi nella distesissima Orizzonti bagnati dell’Adriatico, che riprende sia nel titolo che in parte dei contenuti Prati Bagnati dal Monte Analogo, traccia fusion di Raul Lovisoni e Francesco Messina tratta dall’omonimo album prodotto da Franco Battiato. È un brano che ci mette di fronte a un orizzonte sonoro che, proprio come quello che vediamo a contrasto sul mare, pare infinito, e che pazientemente si popola di numerose componenti melodiche, fino a che una chitarra elettrica grida distorta poco prima che un mormorio di synth chiuda la traccia. Pietre roventi, come intuibile dal nome, condivide con il brano che la precede il carattere caldo e solare, rafforzato dai campionamenti di una eterea voce femminile che si perde nell’immenso reverb e che lascia una sensazione di serenissimo tepore.
Se le tracce di questo disco fossero tutte come le prime due, per quanto piacevoli, rischierebbero di dare forma ad una raccolta un po’ piatta, monotona, ripetitiva, ma si vede anche qua la bravura di Populous: nel riuscire ad usare elementi già visti creando però atmosfere sonore completamente diverse, come nella misteriosa Luna liquida o come Sentiero luminoso delle cui numerose componenti melodiche alla fine rimane soltanto una insistita frase di pianoforte e i suoi timidi delay, come una specie di mantra.
A ogni nuovo capitolo del suo album Populous riesce sempre a trovare qualcosa di nuovo da farci sentire, qualcosa che ci stupisce ma senza rompere l’incantesimo. La stasi di riflessione nella quale ci ha fatti scivolare raggiunge il suo punto più profondo proprio con la title track, dove Andrea abbandona qualsiasi elemento ritmico e lascia che i synth ci riempiano le cuffie, senza soluzione di continuità, l’uno sull’altro, per tutta la durata della traccia, finché in chiusura non resteranno soltanto quelli che sembrano cinguettii di uccellini, già comparsi anche in altri passaggi del disco. Se le altre tracce possono rappresentare varie sfumature del colore blu, questa è un ventaglio di tutte quante messe insieme. È il culmine di un album che ha una funzione curativa, terapeutica, in cui è facile trovare rifugio.
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La recensione Stasi di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2021-06-11 00:00:00
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