Tornano.
A volte ritornano.
Da "Undo" sono passati otto anni. Dall'ultimo progetto parallelo pochi meno. Dal primo album più di quindici. Questo è il quarto album.
L'intrattenimento del dolore.
Tornano.
Alcune cose da ritrovare, alcune cose nuove.
Technogod si ripresenta come technogod/tack at, the artist commonly known as technogod, o ancora tack at / at tack.
Al solito l'attitudine nel giocare con le lettere e le parole è quasi enigmistica, in senso stretto.
Le prime tre tracce, per dire, si intitolano "Blank & white", "Interessi di conflitto/in search of enemies" e "Girls just wanna have funk", da Michael Jackson a Berlusconi a Bush a Weird Al Yankovic se si vuole, o da tutt'altra parte invece.
(Dei quattro, nel frattempo, ne restano tre.)
Basterebbero le righe che accompagnano la copia promozionale: "pain trtn ment: sempre all'insegna dell'ironia, del sarcasmo, della rabbia, della pornografia, della disperazione."
C'è tutto questo, e altro, e oltre.
C'è la solitudine, il rifiuto.
C'è il tempo, il sorriso.
Ci sono i politici, i metallari, le donne, gli italiani, i mercati, gli adolescenti, i giovani, i vecchi, i musicisti, dio, il resto, e la televisione.
Analisi lucide e disincantate, quasi ciniche a tratti, il commovente tentativo -chiaramente senza speranza ma esplicito e inevitabile, sentito, dovuto- di 'denuncia', che spesso -non sempre- colpisce preciso, tocca, spinge, spacca.
Un disco pieno di collaborazioni, una lunga lista da Tying Tiffany a Girolamo Di Michele. Mai gratuite, mai buttate là, mai meno che funzionali.
Un disco più suonato e più cantato del precedente.
Un disco che inchioda, davanti -o dietro- a un crescendo indubbio ma subdolo -lo si sente, e nemmeno del tutto, solo dal quinto ascolto in avanti- che ti distrae dal montaggio di un mobile Ikea, nuovo o magari comprato su ebay.
Un disco a volte scuro, a volte tremendamente ballabile, a volte entrambe le cose.
Un disco facile da ascoltare, difficile da riascoltare immediatamente, faticoso da digerire e difficilissimo da dimenticare.
Un disco spesso, forte, bello.
Un disco anche allegro, in qualche modo e da qualche parte.
Che come dice, sacrosanto come sempre, Pignagnoli: "Se non c'è niente da ridere vuol dire che non c'è niente di tragico, e se non c'è niente di tragico, che valore vuoi che abbia."
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La recensione Pain trtn ment di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2009-07-16 00:00:00
COMMENTI (1)
bravissimi...