Buio. Sfrecciamo veloci tra pilastri di cemento e sotterranei urbani. Tra le luci al neon, con l'acido lattico che pompa a mille nel sangue. Le gambe non si fermano, il cuore ormai è lanciatissimo. Respirare. Ad occhi bendati, con il viso coperto da una maschera bianca e asettica. Che non sa urlare.
Qui dentro c'è un po' di tutto. Mescolato e confuso. Il trip hop dei Portishead, la jungle dei Prodigy, c'è un'elettronica che graffia. Un uso intenso di campionature, con il chiaro intento di creare un effetto trance ipnotico, "I have a dream!". Un suono subliminale che sta di fondo. Inserzioni di drums ancora un pò troppo immature, snare troppo aridi. Chitarre distorte che si sciolgono nella pioggia acida.
In questo sound molto caotico, le intenzioni si colgono. Sono buone intenzioni. Ma il caos delle intenzioni di "Labellum" è ancora un nodo difficile da sciogliere.
Non basta voler creare movimento, per farlo. Non basta correre. C'è da affinare il passo e la tecnica, da allenare il fiato. C'è da saper prima controllare i battiti, per lasciarli poi esplodere. Bisogna sapere urlare, per correre di notte.
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La recensione Labellum di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2009-09-09 00:00:00
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