"Ten Years After", prima traccia di questo interessante lavoro, lancia nel cielo un monolite sonoro scuro come la tempesta, venato di ambient e industrial. Ciò che viene subito all'orecchio è la consonanza di materia con gruppi come Nine Inch Nails e Future Sound Of London - frattali glitch, chitarre granitiche e ferali giri pianistici - e non si finirebbe, tanti altri alla memoria, tra epigoni e no, che evitiamo di citare per necessità di sintesi.
Fautori di una dark wave molto in voga nella decade appena trascorsa, ma a ritroso pleonasticamente databile agli inossidabii 80, i mantovani Templehof risultano però creatura non perfettamente inquadrabile, cosa di per sè tutt'altro che negativa: materia informe che riassume in modo ragguardevole vent'anni (giusto dalla Caduta del Muro) tra elettronica, post rock, ambient, drum & bass e trip hop.
La solennità anthemica di "Fatal Familiar Insomnia" ricorda, seppur in chiave attualizzata, le morbose agonie dei Cure nel pieno del loro fulgore creativo, piglio decadente neoromantico e tutto il resto, con grandi synth a donare profondità ad un suono marcatamente digitale, che ogni tanto perde un po' di aderenza, ma si sa, è rischio dei caratteri algidi. In crisi, l'ascoltatore deve decidere quanto peso dare ai suoni piuttosto che ai contenuti nel disco, tanto il limite tra estetica e sostanza risulta assottigliato, e a dimostrazione di questo sta la terza traccia, "Aquaplaning": ordito ben congegnato di loop e sequenze electro, con una batteria geometrica, indecisa e caratterizzante.
Gli echi mogwaiani si insinuano sin dalle prime battute della quarta traccia, "Berlin" - e non se ne vanno più: grammelot tra epica e dolcezza nella riproposizione ostinata di quei quattro accordi che hanno fatto la fortuna dei Sigur Ròs e God Speed You Black Emperor! - uno dei migliori momenti del disco, per intensità e direzione certa. Dieci estenuanti brani o paziente collage sonoro di buon gusto per un debutto in casa Distraction che coferma la sua credibilità e personalità. Ottimi presagi.
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La recensione We Were Not There for Beninning... di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2010-03-25 00:00:00
COMMENTI (1)
meritano tanto
dal vivo hanno visual ricercatissimi
con materiali cinematografici introvabili
grandi tempelhof
f.