Dietro ad una brutta copertina "Deserti Irreali" è un disco indiscutibilmente cantautorale, ma Luciano Ceriello non si limita ad utilizzare forme predefinite e codificate: a diversi livelli c'è il tentativo nitido e coraggioso di osare qualcosa, di uscire dagli schemi in gran parte già pesantemente usurati del tipico cantautorato italiano, senza però rinunciare agli elementi distintivi del genere. Se un approccio di questo tipo risulta, almeno nelle intenzioni, sempre prezioso, lo è ancora di più se vissuto all'interno di un ambito clamorosamente statico, che spesso vive di infinite riproposizioni formalmente e/o contenutisticamente uguali a se stesse (a prescindere dal livello - basso/medio/alto - dell'artista in questione), ben attente a non fare un passo fuori dal sentiero ben tracciato.
Per il lato (spesso dolente, appunto) musicale, i 62 minuti di "Deserti Irreali" sono un successo: gli arrangiamenti sono estremamente curati e relativamente vari, i tanti musicisti coinvolti dimostrano capacità individuali indubbie e ben amalgamate. Capita che tra il "Prologo" e l'"Epilogo" tratti dalle Metamorfosi di Ovidio (un po' kitsch, no?) trovino posto brani "da cantautore classico" arricchiti di preziosi ricami di piano, sax, tromba e viola, poesie su tappeti jazzati ("Astrazione"), testi parlati o quasi rappati, tracce con buona attitudine rock e chitarre compatte, programmazioni garbate, accelerazioni, suggestioni mediterranee o a tratti quasi orientaleggianti, passaggi profondamente debitori alla canzone tradizionale ("Tarcontella"): il tutto organizzato con discreta cura (i validi arrangiamenti sono del tastierista Enzo Bisogno), e con le buone qualità dei musicisti assecondate da una registrazione all'altezza, per un risultato finale che non incendia certo le casse dello stereo e probabilmente non rapisce l'anima, ma è indubbiamente efficace.
"Fino a qui, tutto bene", come in La Haine.
Poi, l'altra faccia della medaglia.
Anche per quanto riguarda i testi, inevitabile centro di attenzione per chi si qualifica come "cantautore", si possono andare a sottolineare le scelte coraggiose di Ceriello: quella di confrontarsi con argomenti anche non banali, e quella di schierarsi in modo ben definito, esplicitando idee spesso non certo comode. Si parla di emarginazione, sfruttamento, alcoolismo, handicap, aborto, vita quotidiana, "amore nevrotico", buoni propositi...
Sottolineando il concetto del rispetto assoluto per le opinioni di (quasi) chiunque, e al di là delle decise prese di posizione cantate nell'album, alle quali ognuno può personalmente accordarsi o scegliere di prendere le distanze, restano però serie perplessità oggettive, che in alcuni casi diventano tristi certezze: in "Malinda ha dieci anni" gli ultimi due versi ("sì proprio tu avanzo di cesso (??) che giochi la carta dell'arroganza, sì proprio tu bitume indegno (??) che...") sbriciolano quello che eventualmente c'era di buono in precedenza, nella onnicomprensiva "Dismediocrizzati! " si sparano giudizi su tutto e tutti, in un delirio sconnesso tra qualunquistici luoghi comuni (tanti), sociologia da supermercato e analisi storiche drammaticamente superficiali (legittimo discutere l'"americanizzazione del mondo", ma dire "ricorda, italiano, che l'America è nata nel 1492 (!!!), la tua Roma nel 753 a.C." è tragicomico), o ancora non ci sono parole per definire il rock antiabortista di "Attesa di morte" (l'incipit "Benvenute ragazze, qui si tritano bimbi" è da fedina penale...), mentre l'intero album è seviziato da continui sbalzi di registro (indimenticabile "ho i pensieri espansi come il buco di una troia" infilato nel posato (auto?)ritratto nichilista di "Immobile") uniti a passaggi più che prevedibili e maldestre pretese auliche. Non è certo tutto da buttare (probabilmente l'episodio migliore è la conclusiva "Napoli-Parigi solo andata"), ma è inevitabile che a restare indelebili siano i passaggi peggiori.
E, con quelli in testa, proprio non si può salvare un disco di un sedicente cantautore con la speranza che l'ascoltatore apprezzi distrattamente le musiche e non presti la minima attenzione alla maggior parte dei testi...
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La recensione Deserti irreali di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2001-05-20 00:00:00
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