Cosa c'entra Ivan Della Mea con Rockit? Niente e tutto. Niente perché il suo stile musicale e il suo essere persona sono totalmente fuori dal tempo, lontani anni luce da qualsiasi distorsione post-rock o suono elettronico o pezzone power-pop. Tutto perché Della Mea – e con lui tanti sodali della canzone popolare – è la radice del mondo cantautorale, a sua volta padre e madre di tanti nomi nuovi usciti e celebrati in questi anni.
Per celebrare Della Mea, morto quest'estate, arriva sul mercato un'antologia di venti brani, scelti tra i tanti incisi da un autore che è diventato ormai un vero e proprio simbolo della canzone di protesta. Ascoltando questa raccolta, però, la definizione di canzone di protesta appare subito limitante e restrittiva: Della Mea è un autore a tutto tondo, che ha fatto anche canzoni di protesta. È innanzitutto un narratore della società, dei grandi problemi e dei piccoli personaggi che la animano. L'inizio è la perfetta rappresentazione di tutto questo. "El mè gatt" è uno dei pezzi più noti di Della Mea: in dialetto milanese racconta la vicenda di un "Teddy boy, un brut demoni" di periferia. La storia è semplice e disarmante allo stesso tempo: una vecchia uccide – per mangiarlo o per semplice cattiveria – il gatto di un ragazzo, il ragazzo si vendica picchiando la vecchia. La forza del brano non è tanto nella storia, quanto nella modalità del racconto, sorta di cronaca partecipata. Si narra della scoperta del gatto con la pancia aperta, della sommaria indagine del ragazzo fino a scoprire che la responsabile è "la Ninetta / quella con la gambetta sifolina". Fin qui, complice il dialetto milanese considerato a torto veicolo di storie allegre (un problema in cui sono inciampati tanti autori), la vicenda sembra amena, il tono ironico, nonostante l'uccisione dello sventurato felino. Poi, la svolta: senza mutare tono del racconto, Della Mea narra la spedizione punitiva del giovane nei confronti dell'anziana donna, una figura vicina alla raffigurazione delle vecchia strega, senz'altro emarginata nel quartiere-microcosmo in cui vive. La punizione è crudele e spietata: il ragazzo picchia sulla gamba buona, spaccando le ossa alla donna. Per questo, viene arrestato e mandato in riformatorio, ma la detenzione non basta a chiarire le idee al ragazzo: "mi sont convint istess d'avegh reson. / Se g'hoo de divv, o brava gent / della Ninetta me frega nient / l'è la giustissia che me fa tort / Ninetta è viva, ma el gatt l'è mort" (Sono convinto lo stesso d'aver regione / cosa devo dirvi, o brava gente / della Ninetta non me ne frega niente / è la giustizia che mi fa torto / Ninetta è viva / il gatto è morto). E' il finale del pezzo, che fornisce a posteriori una chiave di lettura intensamente drammatica e senza speranza. La tragica inconsapevolezza del giovane rimanda diritto a tanti delitti dei nostri tempi, compiuti con totale noncuranza di gesti e conseguenze e marca l'importanza e la forza di un brano scritto 43 anni fa, ma ancora in grado di parlare al presente. In questo sta la grandezza di Della Mea, nell'avere scritto pezzi totalmente inseriti nel proprio tempo fino ad esserne diretta emanazione, eppure capaci di superare i decenni per l'umanità e la carica di realtà che contengono. Della Mea risulta così un vero e proprio creatore di personaggi che vivono al di fuori delle canzoni. L'esempio è caratterizzato di nuovo dal dialetto, per un altro pezzo tratto sempre dall'album capolavoro "Ringhera" (I Dischi del Sole, 1966): "Mio dio Teresa era bella" racconta la tragedia di un uomo che ha appena ucciso la moglie amata per non vederla morire di cancro. Della Mea, con la sua voce storta e le sue esse impossibili, urla parole chiare e semplici, compiendo l'impresa ardua di evitare il melodramma e riuscendo a rendere l'assoluta disperata dignità dell'amante-uccisore.
Il linguaggio è un elemento cruciale in questi pezzi, che si pongono come una sorta di negativo tragico delle canzoni di Jannacci. Un linguaggio fatto di parole quotidiane e vive che parlano di paura, disperazione, lavoro, indignazione, rivolta. Non può mancare nell'antologia "O cara moglie", monologo umanissimo e da pugni chiusi che sbattono sul tavolo, con protagonista un uomo che lotta per il proprio posto di lavoro. Il pezzo fa il paio con "Ballata per Ardizzone", in cui si canta la morte di un giovane manifestante per mano della polizia, in un racconto che intreccia la vita delle persone in corteo e ciò che passa sopra le loro teste, ovvero la crisi dei missili a Cuba: i giornali titolano "Castro, Kennedy, Krusciov", Ardizzone muore con la parola "pace" sulle labbra. Retorica? Certo, non può mancare in un canto politico, ma la retorica qui non è fine a se stessa, perché calata in un contesto di racconto quasi cronachistico, con dovizia di date e orari. Dovrebbero prendere appunti decine di gruppi militanti: Della Mea va preso come riferimento, per superarlo o per andare in tutt'altra direzione. Scimmiottarlo, magari accendendo un cero con la cover proprio di "O cara moglie", porta a un inevitabile svilimento del suo stile narrativo. Uno stile capace di raccontare e riflettere, di commuovere e indignare. Questa antologia – che esce per la lodevole Ala Bianca e con il marchio storico I Dischi del Sole – è un buon modo per conoscere Della Mea e il mondo della canzone popolare. L'ascolto non è facile, ma ne vale davvero la pena. Fidatevi. Anche se con Rockit c'entra tutto e niente.
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La recensione Antologia di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2010-03-09 00:00:00
COMMENTI (1)
Una volta ho letto una recensione più lunga.