Essere dadaisti oggi, deformare la realtà, le voci, l'umanità in note pungenti e desolate. Diventare osservatori spietati, nel decadentismo delle nostre metropoli, nelle malinconie delle nostre strade, nel gelo dell'aria che si respira. Dieci tracce languide come uscite da una sala da biliardo d'annata, tra una grappa ed un vermut, una considerazione amara ed una confessione sconvolgente. Termosifoni fuori ed il Polo Nord dentro.
Una spiaggia che diviene glaciale come un fiordo norvegese, l'immagine sovrapposta alla sua essenza, un'inespressività degli sguardi. Manichini con un sorriso disegnato e la plastica nell'anima. Il freddo in tutte le sue sfaccettature: quello delle stanze buie, delle piccole solitudini, dei piccoli vizi quotidiani della gente.
Un album che incrocia stili e generi: dal trip-hop di "Swear the False", alla sperimentazione pura in salsa Residents di "Opel", virate lounge ("God is Cream") e concessioni autoriali che ricordano il compianto Vic Chesnutt ("Quiver of my Pain"). Numerose facce che si compongono come tessere di un puzzle, facendo risultare l'insieme sorprendentemente compatto e coerente in tutte le sue parti. Un occhio che diviene narratore distaccato, disincantato in una ballata come "Last Night", sghemba e violenta. La dedica ad un sole caldo sempre più desiderato, ma mai ammirato. Una chimera incastonata in un disco notevole.
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La recensione Pinguino di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2010-05-18 00:00:00
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