Dai Sud Sound System alla carriera solista, Treble ha saputo mantenere uno stile caldo e personale. E l'album omonimo è il modo migliore per scoprirlo.
Puoi chiamarlo Treble, ma è meglio se lo chiami Lu Professore, ché fidati che da uno come lui hai solo da imparare. Perché da quando ha fondato i Sud Sound System, ormai vent'anni fa, fino all'attuale carriera solista, è uno che ha fatto di cultura e coerenza i suoi punti cardine.
Treble era l'anima più solare dei Sud Sound System, quella arroventata dalla luce del Mezzogiorno, fiera e umile al tempo stesso. E questa caratteristica è presente anche nell'omonimo album solista: reggae caldo e sanguigno, musica jamaicana fatta con orgoglio mediterraneo e una generale passione per la black music, con inserti jazz e world music, che aiutano il cuore reggae del disco a pulsare più forte.
Un disco analogico, in cui Treble dialoga con la Rootz Band creando un sound che riconosci al volo. E bada bene che questo non vuol dire che sembra quello dei SSS, ma semplicemente che Treble aveva dato al gruppo un contributo personale fondamentale, e che ora è riuscito a elaborare uno stile fatto su misura per lui.
È principalmente roots reggae, con la voce di Treble che varia fra momenti melodici e altri più raggamuffin, fino a toccare la dub poetry alla Linton Kwesi Johnson. C'è attaccamento alle radici, quelle del Salento, raccontate dalle liriche del singjay, ma anche quelle del reggae, con richiami alla musica di icone del genere come Bob Marley e Third World. E ovviamente ci sono anche gli ospiti, dagli amici di sempre come Gopher fino alle nuove leve come Boomdabash e Dani Silk.
Storia.
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La recensione s/t di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2012-01-16 00:00:00
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