Circola una certa estetica filistea del consenso, ultimamente, anche in musica, perfino nell'indipendente (spesso un microsistema alla rovescia). Da che mi ricordo, antidoto naturale, c'è sempre un gruppo di artisti attivi nel portare l'alterità, nel proporre immagini attraverso cui veicolare ideologie o loro speculari rovesciamenti - in poche parole, altri punti di vista sulla realtà corrente.
Stefania Pedretti, nelle sue molteplici incarnazioni (già Allun, già OVO ecc...), fa parte di questa schiera di assaltatori, dediti ad un certo tipo di controcultura, e non foss'altro che per la tenacia e la credibilità esibite, quali che siano poi gli esiti artistici dei singoli lavori, è sempre un lieto evento misurarsi con una di queste opere.
Manipolando archetipi orrorifici e mutuando gestualità vocali da forme di teatro più o meno tradizionali, ecco giungerci questa sagace riproposizione dell'Inferno, tre tracce in cui la naturale propensione al darkeggiamento qui si fa stringente, soffocante, dove all'elettronica e alla chitarra del buon Claudio Rocchetti si mescola la straniante opera di missaggio di Kawabata Makoto (Acid Mothers Temple).
Uno spettro che va dal claustrofobico blues della prima "Fili di Capelli" (ideale crocicchio tra Galas e Patton), ostinata e stranamente familiare, alla reiteratività di "Taglio", tra violoncelli e rumorismo (dove non è dificcile scorgere certe derive ottantesche a la Nina Hagen), per chiudere il cerchio con "Panas", in cui glossolalia, sofferenza e realismo tragico (nonchè sardonico) si mescolano per dar vita ad un'ennesima importante prova di sé.
Ci si può decomporre anche solo per inerzia. Che l'Oscura Terra dei Morti sia quella in cui stiamo già vivendo?
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La recensione Yomi l'oscura terra dei morti di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2011-03-01 00:00:00
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