Una Barbie senza testa mostra le rovine dell'artwork di "Something in my town". Questo il solo accenno dei Dline al terremoto che ha distrutto interi paesi della loro Regione. Sappiamo tutti di quale posto si sta parlando, mentre non tutti conoscono l'opera di debutto di un quartetto che suona squisitamente americano. Collocabile tra le fila di un pop / punk post-Green Day, un po' Sum 41 e The Ataris, con rimandi agli Incubus (se riuscite a immaginarveli in una versione più scanzonata).
I Dline hanno a uno stile omogeneo e compatto. Leggero non vuol dire superficiale nel loro caso, bensì fresco. E' un ascolto interessante, dotato di picchi positivi e di una matrice orecchiabile. "And like Amelie" sfodera subito in apertura le carte della band, con Lorenzo Caruso a surfare con le sue chitarre accattivanti: "I wanna bring my rock around the world!". Segue "Crazy lullaby", un pezzo dotato di una linea ritmica molto interessante: "I've learnt to believe, to believe in nobody, I've learnt to love is bad… and cruel!". E' come un dardo infuocato che si insinua prepotente nella memoria. Come l'amore di cui parla, che rinnega ma implora, mentre la bottiglia si svuota e una nuova persona potrebbe arrivare. La velocità aumenta in "Run! Run! Run!" mentre il gruppo cerca qualcosa che lo faccia stare bene e in "Green Joy" troviamo una dichiarazione romantica che potrebbe tranquillamente vivere d'esportazione fuori dalla penisola: "you're myself, I am your skin, you're the woman of Days of Paris.". Una ballata chiude il primo album dei ragazzi dell'Abruzzo, in "We are the angels": "nothing will never divide us, eternal light of my gloomy times". Tirate fuori gli accendini o agitate l'iPhone: a voi la scelta, ma non dimenticate di ascoltarlo.
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La recensione Something in my town di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2011-05-19 00:00:00
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