L' irriverente capacità di spiazzare distruggendo dall'interno gli universi del “già sentito”.
Deve essermi successo la prima volta con la zuppa inglese. Avevo circa quattro o cinque anni. È che con un nome così immagini qualcosa di salato. Per cui la prima reazione quando le mie papille gustative entrarono a contatto diretto con lo zucchero e i canditi fu quantomeno di disappunto. Le aspettative. È delle aspettative che dovremmo liberarci. E dai nomi che come etichette imperfette generano suggestioni sbagliate.
È per questo che leggendo tra i vari tag con cui gli Anelli Soli hanno definito il proprio album che il loro “Malomodo” è un disco post rock ho immediatamente frainteso, immaginando qualcosa di simile alle atmosfere rarefatte degli Explosions in the sky. Nulla di più lontano dalla verità. La loro dichiarazione va infatti presa alla lettera, e si allontana da quel paradosso che il post rock stesso ha creato quando, nell'intento di abbattere le barriere musicali, si è codificato a sua volta in un genere ben preciso. È contro questa codificazione che la band si schiera in maniera ironica e disincantata. La volontà di superamento invece resta, e i limiti che gli Anelli Soli intendono affrontare spaziano tra il folk, le visioni dreamy e una componente rock di cui sono esaltate e al contempo prese di mira tutte le possibili sfumature, dal cantautorato alla canzonetta passando per episodi più grintosi. Eppure l'album è come un quadro rotto miracolosamente contenuto all'interno della cornice: i canoni della canzone sono rispettati e fatti implodere, ne restano intatti i confini, è il contenuto a stravolgersi e stravolgerci.
E la mia prima reazione quando le mie orecchie vengono a contatto con questi undici pezzi è quantomeno di disappunto. Non potrei provare altro davanti a “Youppi du per bambole (o papà)” in cui soluzioni goliardiche (gli applausi nel bel mezzo del brano) si inseriscono su una melodia spensierata. O ancora, di fronte all'aggressiva serietà con cui viene interpretato un testo randomico al punto tale da risultare interessante (“Santaresa”), o al modo in cui un delicato arpeggio viene surclassato da un pezzaccio di musica popolare da cantare in condizioni di totale ubriachezza (“Acine mod”).
Paragonati in altre sedi ai Verdena, la band in realtà se ne distanzia per la vena sarcastica, che rappresenta la principale cifra caratteristica di “Malomodo”, un disco amabile, ben suonato e contrario a ogni forma di aspettativa, con la sua irriverente capacità di spiazzare, distruggendo dall'interno gli universi del “già sentito”.
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La recensione Malomodo di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2012-11-14 00:00:00
COMMENTI (1)
bomba!!