Dovete sapere che ho l’abitudine di visitare il sito internet di chi mi spedisce il demo. Il perché è molto semplice: valutare altri aspetti del loro essere e scovare qualche informazione in più.
“Welcome to the Green Garrison: the new rock frontier”: quanto mi piacciono gli auto sbrodolamenti delle bands. Mucosi direi.
Ma partiamo del disco. “Roy is groy” è sostanzialmente una produzione del tempo in cui viviamo: caratterizzato da ritmiche che vanno dal grunge più Pearl Jam al nu-metal di influenza più Korn, questo dischetto è una di quelle produzioni sostanzialmente anonime. Non si può dire che sia brutto e senza speranze, avendo dalla sua due episodi su quattro sostanzialmente piacevoli (“That’s the time” e “Dope”), ma non si può neanche dire che sia un bel disco o un fiore in un deserto. Anzi, come prerogativa di un po’ tutti gli appassionati di questo genere, il gruppo in questione ricalca gli schemi sonori delle band che più hanno ascoltato in maniera chiara e netta. Basti vedere come la prima traccia “All for us” sembri una canzone dei Sistem Of A Down, solo un po’ meno eclettica e un po’ più scontata.
Il problema principale di dischi come questo é la sostanziale banalità; non che sia un problema da poco, ci mancherebbe, ma il fatto che ogni nuova canzone di ogni nuovo gruppo rock sia sostanzialmente uguale ad ogni altra, senza avere neanche la capacità di far nascere una qualsiasi emozione, è una cosa grave. I Green Garrison fanno parte del carrozzone di questo nuovo/vecchio rock e non aggiungono né tolgono niente.
Si possono quindi scegliere di fare due cose, in questi casi: continuare a divertirsi senza particolari sbattimenti per metodo e risultati (ma allora via le pretese), oppure si può scegliere la via di una musica più adulta. Se i Green Garrison dovessero scegliere questa seconda strada, i consigli che possiamo dare loro sono molto semplici. Come prima cosa, è fondamentale che cambi l’approccio alla musica: via il metodo, via il virtuosismo, via il ‘plagio’. Penso che bisogna vivere la musica con un approccio più libero, sperimentale e coraggioso. Belle parole, lo so, ma sappiano essi che tentar non nuoce (ne consegue, quindi, che il metodo compositivo ed esecutivo dei pezzi va completamente cambiato).
Come seconda cosa invece, è necessario spendere più tempo e soldi nella qualità del suono; una registrazione di qualità ‘casalinga’ farà cool quanto si vuole, ma se non è di un certo tipo fa anche cacare.
E infine buona fortuna. Ma questo è più un augurio che un consiglio. Non che non serva, anzi.
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La recensione Roy is groy di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2002-05-09 00:00:00
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