Bob CornSongs to The Wind2012 - Folk

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“Songs to the wind” è un mini album di sette pezzi, folk come i suoi fratelli maggiori, affascinante come i suoi fratelli maggiori, inquadrato nel genere senza mai uscire dai margini esattamente come i suoi fratelli maggiori.

Arrivati a questo punto, la domanda è: che cosa si può dire che non sia già stato detto? Il soggetto in questione è Bob Corn (Tiziano Sgarbi), il disco il nuovo “Songs To The Wind”, canzoni al vento.  Due i punti di vista. Primo: il nostro, che il disco l’abbiamo sotto mano come ascoltatori. Secondo: quello di Tiziano, che il disco, ovviamente, l’ha scritto.

“Songs to the wind” è un mini album di sette pezzi, folk come i suoi fratelli maggiori, affascinante come i suoi fratelli maggiori, inquadrato nel genere senza mai uscire dai margini esattamente come i suoi fratelli maggiori. Bob Corn questo modo di scrivere l’ha definito sad punk. Vero: la definizione reggeva all’inizio, e regge tutt’oggi. Il suo modo di scrivere è punk per spirito, per costruzione, per immediatezza, e sad perché… beh, innegabilmente triste.

Bene quindi “Here I go”, calda introduzione per voce e chitarra, accompagnati delicatamente da banjo e archi. Idem “Language and lungagge”: questa volta è una tromba beirutiana a controbilanciare la linea chitarra/voce. Più pacata invece “Lost in the mirror”, pezzo più tagliente dei due precedenti perché graffiato sullo sfondo da una chitarra elettrica dal sapore desertico, smussata perentoriamente dal suono ovattato di un clarinetto.

“This moment we borrow” è forse il pezzo migliore del disco. Una nenia dolce, arpeggiata sul più classico dei “la la la” che altro non è che il più puro e potente concentrato di nostalgia, se usato nella giusta maniera. E Bob Corn è uno che queste cose le sa maneggiare, cose come la nostalgia intendo. Che sad punk sarebbe altrimenti? Mettiamoci poi una fisarmonica e la magia non può che compiersi. E’ quasi matematico. “Play for me” è il pezzo più Cat Stevens + Moldy Peaches + noise della tornata. Un esperimento, una ballata stridula e stridente. Perché con qualcosa devi spezzare la melodia, non può esserci l’agro senza il dolce.

“Tell me how” spegne però quasi immediatamente la carica elettrica. Ecco di nuovo solo banjo, batteria, chitarra (acustica e elettrica) e voce; il Bob Corn cristallino e lancinante che abbiamo imparato a conoscere negli anni: “Tell me how… how can I have you / how can I have you / how can I have you”. “Flower on a rock” chiude infine il discorso esattamente come uno si immagina possa finire. Cosa che ci riporta alla domanda posta in testa.

Abbiamo detto che di Bob Corn non si può dire nulla che non sia stato già detto. Vedi la recensione di “The Watermelon Dream”: “Bob Corn è tutto questo, già sai, e spendere altre parole sembra inutile”. Quello che “Songs to the wind” ci può però far chiedere, è se tutto questo ha ancora un senso.

Bob Corn ha senso per noi che lo ascoltiamo? Sì, nel momento in cui ogni pezzo, senza stupire, riesce a trasmettere qualcosa. Tiziano sa scrivere melodie, e soprattutto sa come interpretarle. Tanto basta. Ha senso per lui continuare a scrivere e riscrivere lo stesso album? Sì, perché Bob Corn non è sperimentazione, non è innovazione. Bob Corn è uno stato d’animo. Bob Corn è sad punk. E il linguaggio del sad punk è quello di una chitarra, una voce, e un pugno di arrangiamenti. Tutto qui. C’è qualcosa di Bob Corn che non è ancora stato detto e che si potrebbe dire? No. Machissenefrega. 

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La recensione Songs to The Wind di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2012-06-15 00:00:00

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