Un onesto alternative-rock soffocato da eccessiva coerenza editoriale
Come quando tutto all'improvviso diventa bianco. Felpato. Immobile. E non è perché ti sei alzato troppo in fretta. E' che il termometro segna zero gradi e le nuvole vomitano purezza. E' la bellezza da capogiro. Uscire di casa, inspirare meraviglia, lasciare che ti sommerga. Ed è pieno inverno ma è solo bello, non c'è freddo. O non te ne importa più. E' dentro di te che sei focalizzato: i battiti si amplificano, i pensieri si fanno limpidi, mentre fuori niente ha più colore, né suono. E' il rumore della neve. Hai presente com'è? I vani tentativi di mettere a fuoco i soggetti, contro la prepotenza da primadonna dei fiocchi che precipitano in primo piano. Come sulla copertina di "Tutto quello che è a fuoco", disco d'esordio de Il Rumore Della Neve.
Sound di impronta alternative-rock anni Novanta, di chi ha ascoltato Litfiba, Timoria, Afterhours, a voler fare nomi. Esecuzione impeccabile, una voce intensa e teatrale, soprattutto negli episodi meno concitati, e testi pseudocriptici per lo più in seconda persona. Costruzione di un'identità che tuttavia già dopo pochi ascolti rivela la sua natura forzatamente "industriale": una produzione di brani in serie, tutti oltre i 4 minuti e conformi a un'analoga struttura di strofe pacate, ritornelli dirompenti e bridge dilatati a metà strada tra i due. Elementi di per sé anche interessanti, ma che suonano troppo spesso reiterati all'eccesso, o penalizzati da una metrica lenta e trascinata che rende quanto mai reale il rischio d'annoiarsi, come nella tripletta "Neve", "Marie", "Otto e Trenta".
Chiaro che ci sono alcune eccezioni, alcuni pezzi ben riusciti e che rimangono in testa ("Il Soggetto Meno Indicato", "Umana Natura"), alcune linee melodiche sono azzeccate ("Umana Natura", "Via Porpora"), con reminescenze negli arpeggi della prima Carmen Consoli; c'è del talento, c'è molta tecnica, ma quanto a composizione ancora non ci siamo. E anche i punti di forza rischiano di rimanere soffocati dall'eccessiva coerenza del disco, rendendone l'ascolto pesante e prevedibile. E senza quello slancio di originalità che permette di distinguersi dal mucchio il rischio è quello di rimanere ancorati alla definizione di gruppo adatto a vincere concorsi, ma condannato entro quella linea di piacevolezza che non sorprende l'ascoltatore e difficilmente lo indurrebbe a fare sforzi o chilometri per un live.
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La recensione Tutto quello che è a fuoco di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2013-10-03 00:00:00
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