Vernon SélavyStressed Desserts Blues2012 - Rock'n'roll

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Un bellissimo contenitore d'anime diverse

Mia nonna è un'accumulatrice seriale. Se entri nella sua sala devi essere consapevole che un attacco di claustrofobia fulminante non te lo toglie nessuno. Le vetrine con tutti i cimeli stantii sono il suo pezzo forte: nel ripiano di uno di questi mausolei ci sono tutte quelle scatoline americane di latta, anni '50, quelle con i disegni sbiaditi, con gli angoli smussati e consumate dal tempo. Tutte vuote. Adagiate in un bellissimo centrino fatto a mano. Lei ha tutti i ricordi incasinati, sparsi dappertutto in quel suo cervello rimasto fermo non si sa bene a quale epoca. Mi piace pensare che conservi tutte quelle scatole per ricordarsi dei suoi anni '50, quando era appena una ragazzina e dalla radio, magari per sbaglio, cominciava a captare qualche ballata americana.

“Stressed Desserts Blues” dei Vernon Sélavy è proprio come una di quelle scatole lì, non vuota, ma dal profumo inconfondibile anni '50. Un bellissimo contenitore nel quale possiamo trovarci dentro del soul alla Sam Cooke, del blues stile J.B Lenoir, quartetti gospel e del rock 'n' roll primigenio alla Chuck Berry. Un disco che guarda dritto in faccia l'America, quella dalle bettole blues, piene di fumo, dalle luci fioche, nelle quali si beveva, si suonava e si cantava fino allo sfinimento, fino ad allontanare la malinconia della vita (non troppo gentile di quei tempi).

La persona che è ha messo insieme così tanta storia è Vincenzo Marando, già chitarrista nei Movie Star Junkies. I pezzi sono cuciti attorno a una chitarra, sia acustica che effettata, una batteria leggermente sfiorata, giri di basso poco invasivi, piccole distorsioni, timide spazzolate di piano e una voce profonda, intensa, che ricorda quella di Leonard Cohen. Questi sono gli elementi che si sono incontrati per creare nove killing ballads, sporche, ruvide, alcoliche ma dalla personalità dolce, dall'anima scura.

“Ballad Of The Empty Hands” è una fucilata al cuore. Dopo le prime due note di “Straight Into The Soft Bed Of Our Guts” vorresti fiondarti nel primo bar di periferia bere 5 bicchierini di Glen Grant e cullarti nella nostalgia più nera di un qualcosa che è andato. “Shoes Of The Dead”, dalle leggere sfumature latineggianti, farebbe ballare anche le mamme più ingessate. Insomma, potete scegliere ad occhi chiusi senza correre il rischio di rimanere delusi.

Un progetto maturo, affascinante, che si spera non si perda nel lungo periodo. Sicuramente una delle più belle scatole di questo autunno: non vi resta che prenderla e aprirla.

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La recensione Stressed Desserts Blues di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2012-10-17 00:00:00

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