Ambizioni intellettuali ma risultati discutibili.
Un tempo si battevano i mari alla ricerca di frontiere inesplorate – o di mitologici e inafferrabili cetacei – poi l'umano istinto esploratore si è spostato a bordo delle astronavi, nello spazio profondo. E in tutte le epoche si sono scandagliati l'umano e l'inumano, il conoscibile e l'insondabile, lo spirito e la materia. In tutti i sensi, l'uomo è viaggiatore e indagatore, e le sue opere d'ingegno non sono altro che mezzi al servizio della scoperta.
I Gagarin, e il loro ep d'esordio, esplicitano il concetto fin troppo chiaramente, evocando pionieri cosmonautici e baleniere letterarie, e spingendo forte su un'idea di musica “evocativa”: testi ridotti al minimo, narrazioni strumentali che si dipanano in pezzi a più movimenti, suoni della natura e ricerca di suggestioni esotiche. Le intenzioni insomma sono alte, ma i risultati a dir poco alterni: se “Pequod” è un intro che non manca di un certo scarno fascino, se “Il palombaro” ha un suo perché da colonna sonora (per quanto non brilli per novità), “Beira do mar” si perde nel tropicalismo da cartolina e “La notte del lupo” in una specie di prog tribale abbastanza insensato. Ma soprattutto, a vanificare ogni sforzo di fare della bella musica ci pensa la voce: c'è un confine fra il cantato imperfetto ma di carattere e il cantato stonato e basta, e qui è stato superato.
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La recensione Pequod di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2013-04-11 00:00:00
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