Virtuosismi hard rock con tanta benza in vena. Fuori dal tempo.
Quanto sei disposto a bruciare per una passione? Fino a quanto? Quante esperienze ti saranno necessarie prima che le ginocchia crollino e ti riversino a baciare il cemento? Quante volte ricomincerai?
Gli Alchemy Divine, qui al secondo full lenght dopo il cambio di monicker da Divine, di strada sotto le loro suole ne hanno tanta, almeno trent’anni passati su e giù da palchi più o meno grandi. E per l’ennesima volta spolverano gli stivali ma un po’ di polvere del passato rimane: il lavoro presentato ha dei riferimenti talmente remoti al punto di sembrare fuori dal tempo. Quanto presentato è un mix di hard-rock anni ottanta/novanta con tutte le contaminazioni/sottogeneri che in quegli anni si sono susseguite: dal prog-rock, all’A.O.R., al rap (la parte finale di “Concrete Jungle”) al rock di matrice più sudista a certi spunti metal. Tutti gli strumenti sono suonati con maestria e una certa dose di virtuosismo, tesa a rimarcare (come se ce ne fosse bisogno) la professionalità del combo. La voce di Francesca Mantovani ha un’impostazione di tipo teatrale ed un pitch praticamente perfetto e la trama vocale è spesso arricchita da sovra-incisioni ed armonizzazioni. Tutto è perfetto, fin troppo perfetto, sembrando quasi la summa di tutto quello che il grunge riuscì a distruggere in pochissimo tempo (e senza alcuna remora) con in più vent’anni per rimuginarci e meditar vendetta affilando ogni singola nota.
Non so che riscontri possa avere una tale proposta, limitata ormai ai soli appassionati del genere e a qualche raduno di biker, fuori tempo massimo e con il peso di un edonismo fuori-moda ma auguro loro di portar avanti la loro passione con ogni singola nota, ogni fraseggio ed ogni virtuosismo, quantomeno per una pervicacia senza rivali.
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La recensione Fate di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2012-06-28 00:00:00
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