Cos’è il dark? E’ quella fascinazione a cui molti musicisti sono soggetti: la voglia di mostrare le ombre piuttosto che i riflessi, il desiderio di essere confidenziali senza essere ruffiani, piacioni e pieni di melassa fino al diabete. E’ la b-side di tante immagini vissute, un’introspezione, una mancanza di paura nel mostrarsi fragili e “non obbligatoriamente felici”.
E’ un’attitudine.
Stirata all’estremo può esser eccessiva e demodè, può dar vita a pesanti e stucchevoli melodrammi tragici, infarciti dei più ovvi clichè: abiti neri, amore per i pipistrelli, passeggiatina nei cimiteri, etc. Se ci si focalizza, invece, su una versione meno ‘gloomy’ del concetto, beh… allora il discorso si fa più interessante. Si possono così trovare sintesi sonore come quella proposta dai marchigiani Fatima: gusto decadente ma niente cerimonie nere, solo una indovinata miscela di colori che riesce a dare spessore a pezzi, in realtà molto semplici e posati.
Mi spiego: i Fatima non scrivono canzoni memorabili che stravolgono gli schemi musicali; scrivono pezzi discreti che però vengono esaltati dagli arrangiamenti, dal concept spleen e da un’affascinante aura psichedelica. Quasi tutto in tonalità minore, il lavoro della band è sempre disciplinato e ricco di gusto, anche se raramente brilla per voglia di osare e sperimentare. La ricerca li porta, piuttosto, a sfiorare accenni epici e altisonanti, grazie al cantato molto intenso e declamatorio; le tastiere caricano di pathos, la produzione alza la tensione cercando di assecondare più il calore che il ritmo. A tratti gelidi, a tratti bollenti: sempre molto ordinati e mai ‘fuori tema’.
In questa direzione anche i testi: neoclassicismi, memoria della Gracia antica, Tanathos o un bicchiere di vino… tutto purchè si riesca ad alzare il registro della comunicazione. E quindi il violoncello a sostituirsi, in alcuni momenti, al basso; larghi riverberi, rotondità del suono e stratificazione delle tracce… poco punk ma molta atmosfera avvolgente.
Sotto queste spoglie il dark trova ancora vita, riesce ancora a farsi largo ed a volte anche a stupire per intensità e solennità. Come nella bella “Arcadia”, ad esempio, pezzo che sale piano per cingerti da dentro; probabilmente la migliore anche in virtù di un tono molto intimo e diretto.
Un disegno di certo ricercato come si evince anche dalla copertina e dalla scelta di essere sempre piuttosto presntabili. Forse un filo troppo ‘pulitini’, ma pesanti ed incombenti come una goccia di pioggia che sembra non voler lasciare il cielo…. a volte un filo prevedibili… a volte quasi poesia…
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La recensione Ebbrezza (single) di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2002-12-04 00:00:00
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