Tante collaborazioni per un disco che brilla e sa distinguersi, confermando l’incredibile capacità di Fiumani di saper raccontare e trascinarti con sé.
Averne, di certezze. Ma chi ce l’ha, voglio dire, qualcosa di davvero sicuro, che ti giri e c’è ancora, ti addormenti e c’è ancora, cresci e cambi e ancora c’è. Io non lo so, in questi tempi sempre più in bilico in cui ogni giorno ti disegna promesse talmente labili da sparire prima che il giorno stesso finisca, in cui ogni notte ti prende duramente a schiaffi urlandoti in faccia che non ce la puoi fare, ma dico sul serio, non roba di sogni e desideri, dico proprio il futuro, la sostanza, i fatti, la costruzione di una vita pezzo per pezzo, con quei mattoni solidi che pare esistano solo nella pubblicità, nel passato e nei film. E allora ci rifugiamo nelle cose piccole, piccolissime, quelle che se le racconti agli altri ti guardano male, ti fanno sentire il peso dei tuoi fallimenti, il peso asfissiante della loro quotidianità tanto politically correct, limpida e organizzata che tua madre farebbe carte false purché fosse tua.
Perché ascoltare un disco non è un passatempo, non per me, bisogna essere presente, attento, aprirsi il giusto ed essere nella posizione di chi è pronto a ricevere: bisogna avere fiducia e lasciar perdere futuri e promesse, gli altri, i fallimenti, le certezze che tanto non hai, e Fiumani ti afferra sempre, al volo, mentre stai precipitando, ti afferra e ti dice quello che già sai ma in un modo che riesce a tirarti su, a cambiare prospettiva, non che le cose migliorino ma è come se provare certe sensazioni fosse una cosa che fa bene, come se star male ci facesse bene. E la profondità di un artista, e il suo valore, sta nella capacità di trascinarti a sé, nel suo mood, e non nel proporre soltanto bellezza e perfezione.
E trascinami Federico, dai, sono già immersa fino al collo dopo solo quattro tracce, sono a casa tua, ascolto le tue storie, vedo come vivi e ogni particolare è definito: l’amore finito, i rapporti leggeri o fragili, i dettagli di una sconfitta, il passato che ritorna e sembra quasi che ogni volta voglia scoppiarti a ridere in pieno viso, tutto ciò che conta, che magari son poche cose, ma contano per noi che non siamo gli altri, noi sul lato più scomodo e incerto, se poi sia selvaggio è da vedere. “ATM” ti prende per un dito, lentamente, e poi il ritornello così immediato che già lo canti dopo mezza volta, “Claudia mi Dice” con quel “Più o meno fenz”, mi fai ridere Federico, lo sai?
“Ho Fondato Un Gruppo” è spiazzante, acida e sbilenca, sperimenta per poi regalare, quando parte la voce, una carezza sul cuore, gli anni perduti, le scelte complesse, è un pezzo che davvero non ti aspetti, non t’aspetti Max Collini, non t’aspetti di rimettere la traccia almeno tre volte di fila, il suono compatto, il sax, quella “forza mai doma” che qui c’è tutta; e “I Sogni in Disparte” che recita “Con le grandi aspettative puntate su te, non le puoi mica deludere, sarai molto occupato dai venti ai trent’anni, non sarai mai felice dai venti ai trent’anni”, e i ritmi in levare di “Il Suono che non c’è” che cita gruppi pescando dal punk e dal postpunk, dai Television ai Clash, e di nuovo il passato, e la musica è di nuovo un mezzo per evocare ricordi, e il passato pare sempre migliore di oggi con quei suoi mattoni solidi, e pure “Infelicità”, con le sua atmosfere new wave, pure lei s’aggrappa agli anni andati, ai dischi ascoltati, alla voglia che c’era e forse ora non c’è.
“L’Amore è un Ospedale”, sound tipico, testo di amarezza lieve, è ondeggiare tra nostalgia, sorrisi e clamorose svolte fatte perlopiù di niente, del resto siamo fatti così, ci entusiasmiamo con poco, con un incontro, una serata inconsistente ma con le persone giuste, un bel disco, o magari dedicando una canzone a Piero Pelù (“Ottovolante”) e celebrando il passato again and again, poi ridi di nuovo con “L’Uomo di Sfiducia” che è la canzone d’amore di un eterno mascalzone, di uno che non si ferma, non si sposa ma secondo me si innamora mille volte e ogni volta con grande intensità (e lo dimostra pure “Luglio 2010”). L’anima da rocker instancabile viene fuori con “Venisse il Sole”, chitarre in primo piano e voce gridata, e tutto finisce con “Voglia di”, e tutto si spegne, le luci si spengono, il giorno si piega, le certezze che non abbiamo, i sogni che sognamo, e restano quelle cose piccole che ci piacciono così tanto da farci andare avanti, ancora una volta, con sentimento.
Tante collaborazioni (Enrico Gabrielli, Gianluca De Rubertis, Marcello Michelotti, Alex Spalck e il già citato Collini) per un lavoro che brilla per originalità, per lo sguardo personale che piace oppure no, ma è così, ed è il migliore tra le ultime produzioni di Fiumani, affiancato da tempo dai fedelissimi Luca Cantasano e Lorenzo Moretto, un solido mattone su cui posare la giornata storta, la scelta sbagliata, il rifiuto inatteso e ogni frattura che porta al fallimento: la conferma che Federico c’è, sempre, ed è una delle poche, pochissime certezze che ho.
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La recensione Preso nel vortice di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2013-12-02 00:00:00
COMMENTI (2)
una recensione della madonna!
Bellissima recensione e ottimo album, dal vivo sempre stupendi!