Gli Aracnofobia fanno rock in italiano seguendo matrici italiane … e fino a qui niente di nuovo potreste dire voi. Si cimentano con un genere musicale che, al momento, sta dando ottimi frutti e che ha dato forma ad un movimento molto interessante (?) e nutrito in tutta la nostra penisola.
Da nord asSud sono molti i musicisti che si rifanno ai vari Afterhours, Verdena, & co. Ma in questo caso siamo davanti ad una band che sa mischiare bene le carte e che riesce a dare un aspetto molto personale alle proprie canzoni; risultato possibile anche grazie alla varietà di soluzioni impiegate che rendono improbabile un facile e fastidioso paragone immediato.
La voce, seppur non tecnicamente impeccabile, è protagonista per la sua estrema espressività. E’ un cantato, molto convinto che ha accenti alla M. Agnelli (“Tempo folle”) quando c’è da urlare, ma al tempo stesso, riporta anche alle voci di Alberto dei Verdena (“Occhiblu”), Moltheni (“La quinta stagione”) ed, in particolare negli episodi più lenti, addirittura alle melodie dinamiche del primo Francesco Renga (stile Timoria).
Le chitarre supportano con dei bei suoni: molto Seattle nelle ritmiche e con un certo retrogusto alla Litfiba negli assoli: wah + suono caldo. Più che colore, danno soprattutto compattezza e coesione al sound lineare dei loro pezzi.
La band non è particolarmente aggressiva come attacco, semmai è ritmata, eppure i brani hanno un buon appeal ed una buona capacità di presa sull’ascoltatore, soprattutto nei ritotrnelli dove vengono preferiti slogan ritmici diretti (“Dibbi”) a passaggi lirici articolati, che trovano spazio, piuttusto, nelle strofe.
Non eccessivamente elaborate a livello di arrangiamento, le canzoni della band riescono comunque a saldarsi piuttosto bene intorno ad idee sempre molto precise ed essenziali e fanno centro nella misura in cui le si immagina e le si analizza come pezzi da suonarsi in contesti live piuttosto che come brani-shock destinati a cambiarci la vita sin dal primo ascolto su disco.
Dotati di un buon immaginario narrativo nei testi i ragazzi dovranno, d’ora in poi, preoccuparsi di mattere un po’ più di pepe sulla pietanza, alla ricerca della ricetta perfetta che faccia emergere del tutto la loro buona capacità di sintesi fra influenze diverse. Personalmente il gruppo mi sembra essere ad un punto critico, un punto in cui è necessario trovare la quadratura del cerchio.
I modelli sono stati assimilati bene e riletti con buona personalità. Ora si deve far si che tutto suoni come ‘roba loro al 100%’. Sarebbe interessante, ad esempio, se riuscissero ad aggiungere ai brani un po’di appeal indie, un po’di vera ed ispirata vena sperimentale, quella caratteristica che rende più spesso e denso il contenuto emotivo delle canzoni.
Probabilmente i brani ne uscirebbero più corposi e convincenti e, con un poco meno di rigidità nelle strutture ed un pizzico di calore rock in più, gli Aracnofobia potrebbero davvero confezionare un prodotto degno di uscire dalla loro Toscana ed in grado di ambire ad un respiro nazionale.
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La recensione Occhi blu (ep) di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2003-01-25 00:00:00
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