Voci pazze, rumori di campo e un immancabile groove che nel petto sornione batte come un animale. La sintesi pop di un passato punk wave e di un presente che annusa beat abstract.
Ho la fortuna di ascoltare queste tracce da tempo e il privilegio di parlarvene adesso. E potrei anche chiudere tutto in quattro parole e scrivere che i Did hanno fatto, dopo "Kumar Solarium", un altro disco che spacca in quattro il capello. "Bad Boys" merita invece di più che la faciloneria delle esaltazioni da curva, piuttosto ascolti su ascolti, break, un giro tra gli avamposti selvaggi della vostra città, e poi ancora schiacciate come foste Bill Walton sull'icona del play.
È un disco metropolitano, nato appresso ai chilometri macinati in furgone nei periodi del tour, viaggi e vacanze di semplice svacco che si trasformavano in fucina di stimoli e idee. Registrato a intervalli, take intermittenti che facevano la spola tra Londra e Torino, cambi di formazione e buona la prima. Inevitabile che a uscirne poi sia qualcosa di così contaminato, dove i riferimenti si perdono nello spazio necessario a togliere dall'autoradio i Gang Gang Dance per metter su l'ultimo di monsieur Kanye West. E così "Bad Boys" vive di questa sua natura meticcia, dove i suoni si lasciano immaginare come strati e flussi di idee sovrapposti gli uni sugli altri, senza perdere tempo a sditalinarsi sui colori dell'outfit. Guarda caso è un disco bianco, che viaggia storto e impazzito alla stessa velocità del moderno. Loop di batteria sintetica che potrebbero andare avanti per sempre, chitarre che entrano quando meno te l'aspetti con overture che hanno il sapore esotico del tribalismo caro ai Vampire Weekend, voci pazze, rumori di campo e un immancabile groove che nel petto sornione batte come un animale. La sintesi pop di un passato punk wave e di un presente che annusa beat abstract.
Tutto è più della somma delle sue parti. Da "You Read Me" a "Skills", passando da "Mastroianni Keep It Real" o "MVP", fino a una "Belong To You" che non sarà Ambra Angiolini ma comunque riesce a stringere il cuore. A colpire è la profondita con quale ogni canzone finisce per creare un suo personalissimo mondo, identità spaziali che se a un primo ascolto risultano contrastanti, a un secondo si fanno ognuna tassello necessario e mancante al resto dei pezzi.
Il primo disco da adulti dei Did dopo aver tolto i k-way finalmente, potrebbero notare i più attenti, senonchè adesso a vestire Andrea Prato e Guido Savini ci sono canotte e giubbini jeansati, e dove può la moda a cambiare non riesce l'attitudine. Bad boys now and forever. Think about it. And then dance.
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La recensione Bad Boys di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2013-10-14 00:00:00
COMMENTI (1)
Bomba!!