BluesJob Experiment906 part 12015 - Sperimentale, Psichedelia, Blues

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Un'opera mastodontica di non calcolo dalla sperimentazione blues a mille derive

Quant'è di moda nella musica parlare di "progetto", definire così la propria produzione musicale e farla più grossa e barocca di quel che è, porre l'addobbo prima dell'albero? Quanto si può aggiungere ad un'impalcatura già sufficientemente stabile e denominata "disco"? Molto, ma per fortuna c'è anche chi se ne fotte e decide di pubblicare quattro album autoprodotti in una volta sola, trentotto tracce tutte assieme e solo per pigrizia.

"906" è il quadruplo album del duo bergamasco BluesJob Experiment e racchiude otto anni di collaborazione e sperimentazione musicale tra Johnny (Giovanni Bardi) e Ivo (Ivano Colombi), due che di fare calcoli proprio non ne vogliono sapere. Un unico album diviso in quattro perché, come scrivono nella loro biografia, non hanno voglia di sbattersi.

Già, perché cercare un solo suono giusto e folgorante? Perché trincerarsi dietro le costrizioni di una definizione compositiva? Perché gestire l'uscita del proprio lavoro e vivere di rendita per anni? No, meglio svuotare lo zaino una volta per tutte, donare al pubblico una bisaccia piena zeppa si sfumature e colori, di canzoni prevalentemente strumentali, pochi testi e qualche cover, tutto confezionato in formato gratuito e con un'unica scritta sul biglietto dedica: "Blues".

Questo il filo conduttore che lega la tetralogia, blues plastico modellato, calpestato, tritato, masticato, preso a pugni e accarezzato, liquefatto e risolidificato, un unico genere musicale che è più un'attitudine, tra depressione e rinascita (parte 1), rabbia (parte 2), incoscienza e follia (parte 3), cinismo e menefreghismo (parte 4), ci si accorge ascoltando che si stanno attraversando tanti stati d'animo e che nessuno di questi è lasciato ai margini. I due di Bergamo sanno utilizzare la musica per comunicare e non si vergognano di avventurarsi in percorsi tortuosi giocando per minuti con echi ed effetti vari, dilatando le tracce talmente da non riuscire a contenerle in un unico file.

Johnny e Ivo, entrambi polistrumentisti si immergono senza pudore nella sperimentazione, scrivono pezzi folk blues semplici e diretti come "Acceleratolento" che pare uscito da un vecchio disco di Celentano e poi spaccano l'ascolto con brani come "PsychoBass" che al solo riff di poche note di basso unisce un sintetizzatore estremo con chissà quanti filtri che stride e striscia nello spazio galattico. Sanno passare da pezzi di kraut-pop elettronico come "Play some dancin' blues again" ai cinque minuti abbondanti di "Ossesso" in cui il titolo del brano è l'unica parola del testo ed essendo palindroma viene mandata al contrario e ripetuta all'infinito, creando così un effetto terrificante, il tutto su una base funky blues. "Jamalone" si può considerare il brano più lungo del disco, presente in tutti e quattro i capitoli, muta la sua pelle a seconda dello strumento in loop nella base, se si sommano i minutaggi ne esce una suite di trentasei minuti. Curiosa la presenza di "Smack my bitch up" dei Prodigy in una versione garage-stoner.

Una volta terminato l'ascolto dell'intero "906" si ha la sensazione di aver visto un film o di aver letto un libro, ci si sente come se si fosse attraversato uno stato intero o si abbia cocluso una relazione, si è provati ma pieni di sensazioni tattili, di esperienze, c'è talmente tanto e tutto così poco superficiale che è dura rimenere indifferenti. Ci si pensa due volte prima di fare un riascolto, sia per la lunghezza che, ammettiamolo, sfinisce, sia per la necessità di ritrovare spazi liberi nella testa in cui far entrare elementi. Chissà forse una scrematura delle idee e una produzione più mirata avrebbero fatto di "906" un capolavoro imprescindibile, ma Johnny e Ivo se ne fottono, a loro piace il blues.

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La recensione 906 part 1 di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-12-16 09:45:00

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