Un album orgogliosamente nazional-popolare
Oggi qualcuno mi ha detto che sono snob, ma non è vero. Se fossi snob scriverei, per esempio, che questo disco è troppo radiofonico, troppo commerciale, troppo anni novanta, che ricorda troppo Carmen Consoli, che lei ha trascorsi musicali discutibili, che “Alfonso” era troppo un furbo tormentone... e invece non dirò niente di tutto ciò. Vabbè sì, forse che le memorie della Carmen si fanno sentire abbastanza lo dirò, ma a parte questo: intanto ho trovato un po' triste la condivisione, sul facebook di una di quelle persone che polemizzano su tutto e tutti, del video di “Troppo diva” con un commento tipo “ah, vedete che schifezze faceva Levante, e adesso fa l'alternativa!”. A parte che la Claudia mi pare molto onesta nel suo non voler essere per forza alternativa, ma poi che discorso è? Come uno che conosco che dice che Kim Rossi Stuart non sarà mai credibile perché ha fatto Il ragazzo dal kimono d'oro. Sì lo so, frequento persone orribili.
Quindi torniamo al presente: è vero, questo disco è radiofonico e non alternativo. “Alternativo”? Vasco Brondi vende più di Giorgia, di cosa stiamo parlando? Stiamo parlando di un album ben fatto che la pop-olarità se la merita tutta, per come si muove sciolto e sicuro in un mondo, quello di certo cantautorato femminile rock ma non sbracato, raffinato ma non palloso, delicato ma non svenevole, catchy ma non idiota, che, diciamolo, al momento non è poi così affollato: e quindi ben venga, a fare compagnia a Maria Antonietta, Levante con il suo romanticismo contemporaneo, arrabbiato e ironico, che fa venir fuori quando urla ritornelli tormentati e tormentoni - “che vita di merda” naturalmente, ma anche la vivace “Memo”, l'amarognola “Le margherite sono salve”, e “Sbadiglio”, grande esclusa da Sanremo e sicura grande presenza nelle playlist dell'estate, quando abbassa la voce come nell'intima voce&piano “Senza zucchero” e negli accenni soul dell'essenziale “Nuvola”, e quando sfodera un songwriting di classe sopraffina, come in “Cuori d'artificio", probabilmente il pezzo migliore, col suo arrangiamento scarno e l'interpretazione sotto le righe.
Aiutato da una buona produzione (bravo Alberto Bianco) e da una nutrita rappresentanza della nuova scuola torinese, "Manuale Distruzione" è un album orgogliosamente “nazional-popolare”, e va bene così.
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La recensione Manuale Distruzione di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-03-28 00:00:00
COMMENTI (1)
ma io concordo su Kim Rossi Stuart, Fantaghirò ve lo siete scordato?