Ugo Cattabiani è un cantastorie che ruba slide e riff dal blues, per mescolarli ad una vena più propriamente autorale condita di alcol e amarezza
Il rimando non può che essere a lui, il compianto Pino Daniele, colpevole di aver portato nel bel paese quel tanto di musica nera che bastava non solo a conferire nuovi colori alla canzone d’autore italiana, ma anche a dare adito ad una nuova generazione di musicisti ansiosi di mischiare Miles Davis con Domenico Modugno.
“Vicolo Riccardi n° 1” è il secondo album di Ugo Cattabiani, cantastorie che ruba slide guitar e riff dal blues per mescolarli ad una vena più propriamente autorale. Ed è sempre curioso osservare come il risultato, tanto negli illustri precedenti, quanto in questo gradevolissimo album, riesca comunque ad assumere un sapore addirittura più mediterraneo di quello della tradizione.
“Vicolo Riccardi N°1” è un album che racconta di vita vissuta, di storie origliate nel silenzio, attraverso una finestra aperta su una vita a volte crudele, ma sempre ironica. Se in molti casi la narrazione e le tematiche sono affrontate con un piglio naif, è pur vero che le liriche di Cattabiani non scadono mai nel banale, anche grazie ad un certo gusto per il gioco di parole e per l’assonanza (basti pensare all’ultimo ritornello de “La Scatola”: “senza mandibole, senza mandragole, con cento erbe e guai, senza manopole”). Più che altro, è la puzza di vino e gin emanata dai testi a farti dimenticare gli eventuali difetti e a inculcarti, soprattutto nei pezzi più andanti, quell’idea di gioco e di divertimento che sottende tutto l’album. Questi brani, però, sono quelli in cui si sente di più l’influenza oltreoceanica: quello di “Perderò” è il classico giro blues, mentre nel “Blues dell’Addio” sembra di sentire l’eco del Bob Dylan di “Blonde On Blonde”. Ma ad alternarsi alla baldoria, ci sono anche i momenti più introspettivi, quelli nei quali si raccolgono i cocci di un’esistenza che, tutto sommato, sembra disperata. In questi casi, a prevalere è il gusto per il jazz, con quell’onnipresente sax alla James Senese che conferisce alla malinconia una sfumatura alcolica e dissipata, che, alla fine dei conti, suona anche rassicurante (“Vicolo Riccardi”, “Intermezzo”, “Ballata Dell’Uomo Che Fu”).
Il nostro cantautore trova anche il tempo di prendersi gioco dell’ascoltatore: ascoltando l’intro de “Lo Scioperato”, con la famosa citazione dell’Alberto Sordi de “I Vitelloni”, ci si aspetta la classica tirata buonista sul lavoro; e invece no. Il pezzo è strumentale, come se Cattabiani avesse deciso sul serio di scioperare dall’impegno civile. Il brano meno riuscito, invece, è “Fitzgerald”: la musica e le parole sono poco originali e, in generale, l’esaltazione dello scrittore americano scade troppo spesso nel cliché.
“Vicolo Riccardi N° 1” è un buon album, scritto e assemblato con una precisa idea non solo della musica, ma anche della vita. Un’idea accostabile, in fin dei conti, all’attitudine esistenziale di un Bukowski un po’ meno lirico e più scanzonato, un po’ meno profondo ma più caciarone, che si diverte a fare il poeta senza crederci troppo neanche lui, ma giocandosela fino in fondo perché non ha nulla da perdere. Del resto, alla fine dei conti, per citare qualcuno, è solo un trucco.
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La recensione Vicolo Riccardi n° 1 di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-04-04 00:00:00
COMMENTI (33)
Ballata dell'Uomo che Fu, l'Interno. Sono canzoni che non cedono di un millimetro......
....ieri mi sono risentita alcune canzoni su youtube e mi emozionano ancora!!!
Giovanni, sei molto gentile, grazie. In realtà, con l'assegnazione automatica, una breve recensione è già stata fatta. Non ti nascondo che speravo in un approfondimento "alla tua maniera" ma non posso (e non voglio) lamentarmi. Anche solo un commento a margine del disco sarà oltremodo gradito. A presto, ciao!
Grazie mille Ugo, faccio di tutto per farlo assegnare a me!
Ciao a tutti.
Vi ringrazio molto per l'attenzione che avete posto nell'ascolto del mio "Vicolo".
Alcuni commenti mi hanno convinto - non esagero - a stringere i denti e a proseguire con l'attività di cantautore. Le critiche, al pari, mi hanno fatto riflettere in maniera sempre costruttiva, stimolante, sulla reale possibilità di migliorarmi.
Sono rimasto piacevolmente sorpreso dal dibattito sulla musica (made in Parma e non solo) che è scaturito dal confronto serrato tra alcuni di voi, anche grazie al recensore Giovanni Flamini che ha innescato la scintilla con i suoi giudizi ben argomentati.
Mi farebbe piacere farvi ascoltare il mio più recente album "Malaccetto", sempre qui su Rockit, e naturalmente leggere i vostri commenti, se troverete tra le tracce del disco qualcosa di interessante: rockit.it/ugocattabiani/alb…
Grazie ancora, di cuore, per la vostra vicinanza.
Ugo
Fitzgerald c'ha Gigi Cavalli Cocci (CSI) alla batteria. Il blues dell'addio una band interamente diversa (Oscar Abelli quartet dove Oscar Abelli è un noto batterista jazz locale). Il Dilettante è solo chitarra voce, tanto per chiudere. La ciccia del disco sono i primi 5 pezzi più l'Uomo che Fu... A distanza di tempo si apprezza ancora, forse di più.
ci sono 3 episodi che "stonano" rispetto ai brani più riusciti del disco: il blues dell'addio, fitzgerald e l'ultimo chitarra e voce, il dilettante.
il blues dell'addio è fatto con una band diversa e si piega più al loro stile che a quello del disco, uscendo dal contesto
fitzgerald lo trovo più banale, in tutto, non solo nel testo
il dilettante è un pezzo così messo alla fine, forse poco valorizzato
anche a me piace molto Fitzgerald, per l'atmosfera resa benissimo -quelle chitarre- ma devo ammettere che il testo non è all'altezza degli altri e condivido la nota del recensore. chissà, forse per il soggetto che è uno scrittore si avente popolarità, ma non Pop per cui l'autore ha pensato di trattarlo con mano più superficiale, non ha voluto esagerare via...
I Intermezzo, mi da i brrrrividi...tutto acustico in crescendo, come un teatro classico e ben scritto.
II la ballata dell'uomo che fu per come riesce a contenere un dramma in modo sobrio ed elegantemente e vede in Perderò il rovescio autoironico della medaglia.
se c'è un filo conduttore e credo vi sia, è il bilancio esistenziale, non proprio sereno, e la musica lo rende bene, direi all'autore in qualità di quasi laureata in psicologia, di andare avanti in questo senso senza rimpianti.
III io poi adoro Fitzgerald che rende in modo superbo e con pochi tocchi la decadenza rivierasca dei mesi non estivi, i miei preferiti.
1 l'interno... Pop rock d'autore postmoderno
2 la Ballata dell'uomo che fu... Autorale sporco di jazz, psichedelia e dramma
3 Vicolo Riccardi perché come ha detto Franzpettine è una delizia per le orecchie
Poi dico che un brano dalla forte carica Pop come Fitzgerald può essere una canzone di grande effetto. L'assolo di chitarra alla fine è puro class pop...
Perderò e intermezzo hanno il lor bell'appeal. Non amo particolarmente il blues dell'addio che si è simpatica, ma da un taglio fintamente alcolico. Lo Scioperato è una genialata, musicalmente riuscitissima come strumentale: molti ci cadono su strumentali noiosissimi.
Son cntento di mantenere viva l'attenzione su questo disco made in Parma...forza ragazzi. Usciamo dal pantano...