Una bella prova di pop d'autore: non sono ancora alla meta, ma si intravede l'arrivo.
A dimostrazione che la gavetta anche negli anni nostri bisogna ancora farla, anche se con mezzi, modalità e ovviamente con risultati diversi, ma con le stesse aspettative e aspirazioni, i Disappearing One firmano il terzo lavoro della loro carriera e si posizionano un passo più avanti nella scala della loro evoluzione.
Il disco omonimo è una pregevole prova di pop d'autore, di influenza sia british che americana, dove le forme più morbide e popular di alternative-rock si mescolano al folk, alla melodia di facile presa, agli ambienti acustici. Il livello della scrittura è alto, per quanto formalmente molto codificato: nell'opener “Old Smiles, Old Names” è palese l'influenza di City & Colour, nell'assottigliarsi della voce, nell'apertura dei ritornelli; “Once he left the province” è invece vicina agli Oasis più sixties, anche come tematiche. “The girl in the dumps” sfoggia un'anima leggermente più scura, che negli incisi non ha nulla da invidiare alle ballad dei reduci del grunge; invece la parte bluesy emerge nelle strofe di “Copycat syndrome”, in cui le chitarre claptoniane ricamano un substrato di armonie in odore di classic; per tutto il disco gli arrangiamenti sono sontuosi e rodati, sfoggiano archi e fiati, alle volte anche con una certa ironia (“And you talk down to”). Interplay, interpretazione e una produzione patinata fanno il resto.
È chiaro quindi che ci troviamo davanti a una band veramente capace, coraggiosa nello scegliere un pop raffinato per cui il pubblico italiano è molto predisposto, ma sempre con tendenza a scegliere l'esterofilia. Bene, i Disappearing One offrono quella roba lì, ma fatta in casa.
Ovviamente non stiamo parlando di una prova esente da difetti, altrimenti avremmo una band invitata nei cartelloni -almeno pomeridiani- di tutti i festival internazionali: si avverte una certa ansia di suonare sempre puliti e ordinati, a volte si eccede in lungaggini poco funzionali alla portata pop del progetto (come l'intermezzo strumentale della già citata “Copycat syndrome”, più un compiaciuto sfoggio della loro comprovata capacità di scrittura che un vero elemento testuale), altre volte si sfiora il didascalico (le voci dei bambini in “And you talk down to”).
Però nel complesso i Disappearing One in questo disco spiegano cosa significa scegliere una strada e percorrerla nel migliore dei modi: non sono ancora alla meta, ma si intravede il nastro.
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La recensione The Disappearing One di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-11-07 08:00:00
COMMENTI (1)
Una sola parola per definire questa band: fantastici!!!