Nevoso, sincopato, claudicante, con rapide accelerazioni avvicendate a pause improvvise, tra l’hard e il noise. Così si presenta il demo degli Elalieno, che paiono catapultati nell’oasi umbra da chissà quale posto ameno, forse qualche sciupato sobborgo newyorkese.
I toni impuri oscillano tra il ruvido ed il tagliente, la voce nasale, a tratti quasi indisponente, viene portata spesso su tonalità molto alte e di frequente subisce deformazioni e manipolazioni; il basso impone autorevolmente la sua presenza, mentre dalla chitarra escono per lo più suoni distorti e sporchi.
Schizzati cambi di ritmo e pause ingestibili minano il percorso delle canzoni; l’assenza di costanti melodie, senza però giungere mai ad una totale destrutturazione musicale e con la tendenza a riprendere il tema portante nel corso del pezzo, fa sì che i brani siano poco immediati, con un effetto imprimente sul lungo ascolto. Tuttavia è sufficiente familiarizzare con le asperità delle tracce per diventarne parte attiva.
Sin dal primo pezzo si manifestano le caratteristiche preminenti del trio con la sussultante “Happy new year”, introdotta da una mefistofelica risata, mentre al segnale di una trombetta di plastica ha inizio “Fake tunnel of love”, il cui andamento hard è interrotto circa a metà dalla medesima insolente intrusa che provoca un breve stand-by, superato da un insistente ritornello.
La schizofrenica e nasale “The better way”, é seguita da un’instabile “Little saint” cantata in falsetto da una voce eterea, altalenata ad isterici scatti di batteria e chitarra, con il finale ripreso in tre battute di volta in volta accelerate ed inaspettatamente sfumate nel jungle che accompagnava la pubblicità del fu Commodore 64 - inclusione che, devo ammettere, ha accreditato la mia simpatia al gruppo.
In “Girl” un nostalgico e cadenzato riff di matrice reggae si alterna ad uno scontroso sfogo di voce e chitarra che esondano incontrollate e graffianti; più ‘ariosa’, ed atipica nel contesto in questione, è “Crashing like old mamas”, che trova espressione in un rock più classicheggiante con cadenze blues ed un intermezzo concesso ad un assolo di chitarra. Chiude una lenta e psichedelica ballata.
Le idee ci sono e sono altresì interessanti ed ambiziose, ma forse andrebbero maggiormente focalizzate e sviluppate per evitarne una prolissa dispersione. Non mi stupirei se tra qualche anno li rimpiangessimo come il tipico buon prodotto nostrano scippato ad un paese incapace di stimarlo.
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La recensione 7 never existed great successes di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2003-08-07 00:00:00
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