Dodici brani concepiti mandando a mente, ma in maniera del tutto personale e convincente, la lezione che, dalle parti di Seattle, quei barbuti flanellosi erano soliti impartire nei primi anni ’90.
Terza fatica per i Sula Ventrebianco, “Furente” è uno di quei dischi che ti prende per la collottola e ti costringe a stare lì con lui, seduto, a farci i conti, insomma. Non permette distrazioni, non ammette divagazioni. E se, fatti due conti, tutto ciò non accade con la maggior parte delle opere delle quali siamo chiamati ad essere testimoni, significa che questa volta sì, abbiamo per le mani qualcosa di prezioso.
Sta di fatto che questo è un disco della madonna - laicamente parlando - suonato con un furore ed una marzialità da fare accapponare la pelle, coniato con una lucidità d’intenti da intimorire. Tutto suona con una perfezione da lasciare sgomenti - a tal proposito, un applauso a scena aperta va tributato alla produzione e al lavoro eseguito in sede di registrazione e mixaggio - a cominciare dalle chitarre di Giuseppe Cataldo, sempre presenti ma mai sopra le righe, perfettamente complementari e pronte a contrappuntare il venefico cantato di Sasio Carannante, continuando con la sezione ritmica che vede Mirko Grande al basso e Aldo Canditone alla batteria, metronomica e devastante quanto una falange macedone. Opera quanto mai originale, “Furente” attinge a piene mani da quel serbatoio di suggestioni e commistioni dentro al quale erano solite pescare band che fecero la storia dell’indie rock a stelle e strisce (Pearl Jam e Jane’s Addiction su tutte). Dodici brani concepiti mandando a mente, ma in maniera del tutto personale e convincente, la lezione che quei barbuti flanellosi erano soliti impartire nei primi anni ’90 da Seattle al globo terracqueo tutto. Grunge e hard rock declinato e virato in salsa psych, ma non solo, c’è anche tanto della tradizione cantautorale italiana a fare da sostrato a questa operazione velleitaria ma del tutto riuscita cum laude.
A cominciare dalla traccia di testa, “Notre Dame”, cavalcata tribal dove una particolare menzione merita il lavoro sulle voci e sui molteplici registri che queste assumono lungo tutto il brano. O, proseguendo, la meravigliosa “Cumulonembo”, che dopo un breve intro dai sapori vagamente “sol levante”, si dipana su trame fortemente zeppeliniane. E di “Subito prima”? Vogliamo parlarne? Come se i Fuzz Orchestra suonassero in un concorso canino di bellezza, tra nastrini rosa e riccioli di pelo vaporosi, con due membri dei Weezer aggiuntivi. A volerlo analizzare brano per brano e con la dedizione che un lavoro del genere meriterebbe, si potrebbe stare qui ore (io) a scrivere e manciate di quarti d’ora (voi) a leggere, ma abbiamo tutti una vita e non è il caso. Il consiglio, però, è spassionato. Prendetevi questi quasi quaranta minuti necessari all’ascolto – se possibile, infilatevi un paio di buone cuffie – e lasciatevi condurre nell’universo di “Furente”, ne vale davvero la pena.
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La recensione Furente di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-11-13 08:00:00
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