Un blues alternativo pieno di sfumature, un po' italiano un po' inglese
Si fa presto a dire blues, la musica dei neri che raccolgono il cotone sembrerebbe puzzare di naftalina solo a nominarla, nonstante la schiera dei puristi del genere la ritenga intoccabile e sacra. Il blues è il fil rouge di tutto l'omonimo album d'esordio dei LeLabrene, ed è sporcato, stracciato, mascherato in ogni sua piega e reso attualissimo.
Sembra quasi una compilation per la diversità di suono che la band bolognese riesce a produrre, c'è molta cura negli arrangamenti, c'è molto gusto nella scelta dei suoni ed è piacevole scoprirlo pian piano lungo la tracklist.
Il primo pezzo s'intitola "4214 Laval St": mentre l'acustica macina il giro sempre uguale gli intrecci dei piccoli tocchi sulle altre due chitarre si fanno inseguire dall'orecchio fino alla fine, il mood è quello placido di un pezzo di Beck, l'area geografica del suono è vicina ai Black Crowes, tutto è ben calibrato e fila veloce. La stessa attitudine lo-fi la si sente bene in "Like a flag" e "Hearthquake blues", tutti pezzi di bravura tecnica ineccepibile.
Il blues torna, sempre, e più riconoscibile in "Bononia Decadence", che i suoni di batteria lievemente distorti portano su una strana dimensione alternative tutt'altro che fuori luogo, e "Rosso Corallo," traccia conclusiva, con un lungo intro slide alla Ben Harper, molto ruffiano. Quest'ultima canzone ha il pregio di essere cantata in italiano, come anche "Medeaflower" e "Mr. Aldrovandi", pregio sì perché a volte può essere il vero punto di forza per chi come i LeLabrena fa musica poco sperimentale.
Poteva mancare il pezzo stoner? Sì, se ne poteva anche fare a meno dato che l'impronta folk-rock aveva ormai preso il sopravvento, e invece no, spunta "Lucchetto", pezzo che pare scartato dal primo album dei Kyuss, giusto perché troppo blando, ma che qui stranamente rientra perfettamente nel bailamme di generi padroneggiati, tra ballate e stivali a punta. LeLabrene (ovvero i gechi) non sono animali da temere, al contrario si devono ascoltare, sulle prime sembrerebbe che emettano solo piccoli vagiti nel tentativo d'urlare, ma dopo accurate audizioni le vibrazioni diventano via via più definite e con la costanza si arriverà ad un intero album di piccole perle alt-blues come questo, pieno di dettagli nascosti e genuina tecnica musicale.
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La recensione LeLabrene di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-11-25 00:00:00
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