Di ruggine e di paesaggi interiori desertici.
L’esordio dei Rudyscave si configura sin dal primo ascolto come un lavoro ben strutturato, organico, con riferimenti precisi e volontà di trascenderli. La voce carica e corposa di Vannoni che sa prestarsi al pezzo melodico e graffiare al tempo stesso con grande controllo, e le sonorità anni ’90 dei pezzi hard rock immersi nel grunge, con venature metal fanno pensare subito a nomi imprescindibili: Pearl jam, Alice in Chains, Dave Grohl.
L’album respira. I pezzi si susseguono senza sgomitare, per dar vita a un racconto unitario fatto di paesaggi interiori aridi, desertici, bagnati dalle lacrime e arrugginiti. ("Later on you’ll discover time / radiation focused on your pain / Rusted meaningful stones inside / Grinding all your days away" da "Solution/Solvent").
Del deserto c’è di buono che i demoni sono facilmente individuabili. Affrontarli significa smettere di credere alle menzogne, soprattutto a quelle che ci si racconta da sé. ("When I’m alone I try to focus / but devil brought me to lie / I tried to hide away my own world / but demons brought me back to life" da "Monkey").
Il buio è complice, la condizione ideale di un’autoanalisi catartica, alla ricerca della libertà interiore e della riappacificazione con un io crivellato e strisciante, facile a perdersi ("Where will I go? / Which way do I belong? / Where will I go? / I don’t know" da "High level room").
La pace si ritrova da qualche parte in se stessi, ma è una forma di libertà che si cerca contorcendosi o la la sosta tra una contorsione e l’altra? ("And you can walk alone, in your hollows / moving from the pain into the trees / and then you’ll find a land where lay yourself down and being peaceful / I’m an ocean, rolling in waves / I’m contorcing trying to be free / And you can walk alone in your hollows and being free" da "Runlet").
Il metallo tempera la sua freddezza grazie al calore della ruggine: le sonorità di cui parlavamo, la potenza dei riff di chitarra lasciano intravedere, a tratti, influenze dal southern rock. Degni di nota: l’assolo di chitarra acustica in finale di "Runlet", le sovrapposizioni e gli effetti vocali in "Offering", "Sublimate" e "The Stone". In "Sublimate" il cantato è un’eco metallica e decadente che denuncia bene il passaggio dallo stato solido a quello aeriforme dell’interiorità messa a nudo (Silently up in sky, release my mind,/which is fading into the night/sublimating, dying, dying). In conclusione, quello dei Rudyscave è un lavoro profondo da ascoltare con attenzione, che sarà sicuramente amato dagli cultori del genere.
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La recensione RUST di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-05-05 23:00:00
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